vorrei proporle una mia piccola, personale e imbarazzante esperienza. Ho vinto un concorso promosso dall’Unione Europea e ho svolto un tirocinio all’estero presso un importante albergo che fa parte di una nota catena internazionale. Il lavoro mi è piaciuto, e il modo in cui l’ho affrontato non ha soddisfatto solo me, ma anche – e, da un certo punto di vista, soprattutto – la responsabile e il direttore dell’hotel francese dove ho potuto sperimentarmi. Costoro, applicando la loro "legge di merito", hanno deciso di offrirmi prima di tutto un lavoro presso la loro struttura e, in secondo luogo, di aiutarmi a cercare un impiego in Italia dato che io, folle, vorrei provare a tornare nel mio Paese. Una volta rientrata in Italia, vengo infatti contattata da un’importante struttura alberghiera di Milano decisa a offrirmi uno stage formativo. Fissiamo la data del colloquio e cominciamo a discutere i termini del tirocinio. Ma salta fuori che lo stato italiano (perdonatemi le minuscole) non dà la possibilità di svolgere tirocini in ambienti di lavoro nei quali il candidato abbia già avuto modo di lavorare. Sgomento e sconforto hanno pervaso tanto me quanto il manager milanese. A noi, giovani italiani, se non abbiamo "spinte", oggi non restano che due modi per trovare lavoro. Il primo è solo teorico: poter vantare anni di esperienza e/o praticantato. Il secondo è quello che ho tentato io: farsi conoscere attraverso lo stage formativo. Ma dato che non ci è concesso più di un tirocinio nel medesimo settore, non ci rimane che fare piccole esperienze (molto spesso non retribuite) in ambienti completamente diversi tra loro. È davvero questa la strada maestra per inserire i giovani nel mondo del lavoro? È questo il modo per farci uscire da una condizione di precarietà e di sgomento? Io penso che questo sia sicuramente il modo per renderci sempre più stanchi, indignati, arrabbiati e persino rancorosi verso lo stato italiano (chiedo scusa di nuovo per le minuscole) che non solo ci costringe alla miseria e alla depressione, ma anche all’emigrazione. Tutto questo mentre garantisce ai suoi politici, ai suoi funzionari, ai suoi amministratori, trattamenti generosi vita natural durante... Caro direttore, ho venticinque anni, una laurea in lingue e lettere, parlo quattro lingue straniere. E non voglio arrendermi.
Arianna Angeli
Fare benissimo a tener duro, cara Arianna. E anche a farsi sentire, proponendo la sua storia «piccola, personale e imbarazzante», che in realtà è – nella sua linearità – davvero interessante e persino emblematica. Già, sono proprio storie apparentemente piccole come la sua che aiutano a capire meglio le proporzioni del problema pratico e "di speranza" che abbiamo creato ai giovani italiani e, dunque, al nostro Paese e al suo futuro. Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, offrendo nei giorni scorsi, da economista e statistico di valore qual è, una lettura non roboante ma realistica e seria del fenomeno della disoccupazione giovanile, ha sottolineato che sono circa 650mila i giovani che si ritrovano, oggi, sbattuti fuori (o, tutt’al più, tenuti ai margini) del mondo del lavoro. Si tratta di poco più del 40% dei giovani già attivi (dunque, non di tutti i giovani). È un problema – dice Giovannini – «enorme», ma certamente «aggredibile» con successo. Per quel che vale, ne sono convinto anch’io. E per la soluzione non ci si può illudere di inventare provvedimenti-bacchetta magica, c’è piuttosto da dedicarsi alla fatica di leggere e capire la realtà per orientare a dovere le risorse disponibili e rimuovere la cause che hanno prodotto (e continuano a produrre) la precarizzazione, l’esclusione e anche la spinta a emigrare di tanti nostri concittadini giovani, preparati e disposti a spendersi in diversi ambiti lavorativi. La sua lettera, cara Arianna, mette a fuoco uno dei nodi da sciogliere (o, quando necessario, da tagliare). Spero anch’io che questo accada in tempi rapidi e che lei possa continuare a vivere in Italia senza autodefinirsi «folle». Insomma: le auguro e auguro a tutti noi – perché la cosa riguarda davvero tutti – che ben calibrate e positive novità mettano i giovani italiani in condizione di poter imboccare un percorso lavorativo diritto, utile per mettere a frutto le proprie competenze e per progettarsi in un futuro personale e familiare stabile. Siamo – e voi, oggi venticinquenni, lo sarete ancor più di noi – cittadini d’Europa e del mondo, ma la "via dell’estero" non deve mai diventare un’alternativa obbligata e sconsolata all’incertezza e persino alla miseria. Può e deve essere solo, o almeno soprattutto, una libera scelta. Forza Arianna, e forza signori del Governo e del Parlamento: fate le cose giuste, e fatele adesso.