Caro direttore,
il Sud Sudan è la crisi dimenticata più grave dell’Africa odierna. Quasi due milioni di sfollati e 1,7 milioni di profughi nei Paesi vicini su una popolazione di circa 12 milioni di persone: questa è la fotografia di un disastro umanitario, politico ed economico. In un Paese ricco di petrolio la gente è alla fame, l’inflazione supera il 300%, non funziona nulla. Com’è possibile che, dopo una trentennale guerra per l’indipendenza, il sogno del Sud Sudan stia naufragando, tanto che in molti pensano ormai che la nascita del nuovo Stato sia stata un errore? Vi sono vecchie ragioni, tra le quali la principale è il mai risolto rapporto tra le etnie maggiori: Dinka, Nuer, Shilok e Zande.
Antichi rancori, legati al controllo della terra e alle diverse tradizioni, risalenti a decine - talvolta centinaia - di anni fa, infiammano ancora l’immaginario delle persone e vengono manipolati dai leader rispettivi, quali la 'profezia' che predirebbe l’avvento di un leader 'mancino'. Poi vi sono motivi più attuali, come il controllo del petrolio e altre risorse geologiche, una reale maledizione per un Paese così povero. Dall’indipendenza del 2011 la qualità della vita è se possibile peggiorata, soprattutto in zona rurale, con malcelata soddisfazione del Sudan (il nord) che non perde occasione per sottolineare il failed State creato dall’Occidente. Nelle sue ultime fasi il conflitto oppone il governo del presidente Salva Kiir Mayardit e l’oppositore storico Riek Machar, attualmente trattenuto in Sud Africa. Ma l’opposizione è più ampia dei sostenitori armati di Machar: c’è il generale Cirillo del National Salvation Front, che controlla un pezzo di Paese; i partiti non armati; gli ex membri del Spla che fanno riferimento a Pagan Amon, già storico segretario generale del movimento, e a Rebecca, la vedova del fondatore John Garang.
Tutti criticano l’accordo di pace imposto dalle Nazioni Unite nel 2015, che in effetti non ha funzionato. Il cessate il fuoco è stato rotto quasi subito e ora le zone di combattimento sono a macchia di leopardo, e ciò rende, se possibile, ancora più difficile l’azione degli operatori umanitari. Salva Kiir ha messo in piedi un National Dialogue ma la metà degli oltre 100 membri della commissione che avrebbe dovuto lanciarlo e svilupparlo non hanno accettato di farne parte. In un quadro così cupo, una speranza può venire dai 'Consigli degli anziani', gli Elders: ogni etnia ne ha uno e, sebbene gli 'anziani' siano i difensori delle prerogative etniche e spesso siano anche contaminati da ideologie suprematiste, sono anche in contatto diretto con la popolazione e subiscono le pressioni che vengono dalla base.
Non potendo essere smentiti dai partiti e dai rappresentanti politici a cui fanno riferimento, gli 'anziani' dinka, nuer, zande e shilok potrebbero incontrarsi per mettere fine una volta per tutte ai sospetti atavici che dividono le comunità. Nessuno può impedirglielo: c’è da sperare che non si sottraggano a tale responsabilità. Solo allora la comunità internazionale, ora impossibilitata a propiziare e ingiungere una nuova soluzione per le popolazioni di queste martoriate terre , potrà avere una base sulla quale impegnarsi per ridare speranza ai sud sudanesi.
*Viceministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale