I confini esistono per essere superati
venerdì 25 ottobre 2024

Tracciare il confine è l’inizio della Storia: qua ci siamo noi, dall’altra parte ci siete voi. Così tutto comincia, nell’intreccio ancestrale dei rapporti sociali al tempo stesso distinti e contigui, fra scorte, commerci, lingue, costumi, guerre e paci. La ragione politica, impegnata a comporre i dissidi legati ai territori contesi, risulta sempre in ritardo rispetto alla mobilità insita nella natura umana: oggi più che mai. Basti pensare alla recente vicenda dei migranti destinati in Albania. Chi, come me, è in costante contatto con le genti che arrivano in Italia da ogni parte del mondo, nel tentativo di sfuggire alla miseria costruendosi un’esistenza migliore, trattiene a stento lo stupore nel verificare lo scarto impressionante tra le regole protocollari, anonime e amministrative, e il volto concreto delle persone.
Nei giorni scorsi alla scuola Penny Wirton di Roma mi è venuto a trovare Mohammad Jan Azad, un mio ex studente afghano, conosciuto vent’anni fa alla Città dei Ragazzi, quando era un adolescente carico d’energia propositiva, ben prima che diventasse l’imprenditore di successo che è ora. Accompagnava tre sorelle hazara, ricongiunte al fratello maggiore già attivo nella capitale, appena entrate nel nostro Paese grazie ai corridoi umanitari organizzati da Sant’Egidio, alle quali abbiamo immediatamente assicurato una volontaria per ciascuna. Vederle entrare in azione, pronte ad assorbire come spugne i primi rudimenti dell’italiano, è stato un balsamo spirituale. Sarebbe bastato osservare queste giovani donne, sopravvissute all’oppressione dei fondamentalisti, per comprendere la dimensione convenzionale e artificiosa di ogni dogana.
Ma poi c’erano i racconti di Mohamed che tiene a mente le storie di molti suoi compagni, anch’essi miei antichi scolari. Ogni volta che ci incontriamo mi aggiorna sulle loro mutevoli sorti. Tempo addietro si era prodigato per far uscire dall’Afghanistan Jalil Rawnaq, il giornalista perseguitato insieme a due colleghi, salito alla ribalta delle cronache dopo che le foto delle torture subite dai talebani avevano fatto il giro di tutte le redazioni del mondo: dopo un paio d’anni trascorsi nel Bel Paese, è andato in Canada dove conta di continuare a lavorare quale corrispondente.
E Alimi, gli chiedo, dov’è finito? Era uno degli alunni che mi aveva dato di più: ricordo quando lo portai in una scuola di Gubbio a parlare delle sue avventure. Le ragazze che lo ascoltavano piangevano dall’emozione. Adesso sta in Australia, mi dice Jan. Addirittura! E Rauf? Ragazzo sensibile, fragile, insicuro, eppure con una straordinaria luce negli occhi. Anche lui ha preso dimora nella terra dei canguri. Ma cosa fa? Lavora nell’edilizia. E Alì? Si è sposato, oggi vive in Germania con la moglie e la figlia appena nata. Rezai? Lui è tornato a casa, ne ha viste di ogni colore, poi è ripartito senza timbrare il passaporto, come fanno gli uccellini. Destinazione l’orizzonte infinito. Altri abitano in nord Europa, oppure in Francia. Torno con la memoria a uno dei libri più intensi che ho letto su queste traversie, dal titolo emblematico: Io sono confine di Shahram Khosravi, esule iraniano fuggito dalla sua patria come obiettore di coscienza e, dopo incredibili peregrinazioni fra Pakistan e India, giunto in Svezia dove ha insegnato antropologia all’università di Stoccolma.
Lo so: ci sono anche quelli finiti male, in una catena di errori e recriminazioni, da piccoli non erano nemmeno i peggiori, anzi tutt’altro, però sapere che i componenti di queste mie vecchie classi sono in giro per il pianeta, a imparare nuove lingue, dopo aver appreso la nostra, costruire famiglie, partecipare al bene comune, mi entusiasma. Mohamed Jan sa cosa intendo: ricordo quando in aula, aveva sedici anni, mi aiutò a dirimere un contrasto fisico fra due scolari, un afghano e un rumeno. Intervenne d’istinto bisbigliando alcune magiche parole nell’orecchio del connazionale il quale si placò subito. In quel momento compresi che avrebbe fatto strada, come infatti è accaduto: i suoi tre figli piccoli che sorridono insieme alla madre, turca, dallo schermo del cellulare, lo dimostrano come meglio non si potrebbe.
L’idea di poter governare con qualche semplice provvedimento legislativo questa grandiosa osmosi di popoli è chiaramente anacronistica, se non dettata da meri calcoli di condominio nazionale. I confini esistono per essere superati: peraltro quelli che lo fanno si trascinano dietro anche chi resta. Ed è bello quindi per me sapere di poter girare la Terra attraverso gli occhi aperti e sgranati dei miei studenti, come se fossi stato il fantasma dei padri che persero, perché forse qualcosa di quello che ci dicemmo in aula una volta continua ancora a vivere nel loro sguardo.

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