Caro direttore,
è davvero utile e interessante il dibattito che da diversi mesi si sta sviluppando sulle pagine di 'Avvenire', e non solo, circa la necessità di un rinnovato impegno politico da parte dei cattolici italiani. Non perché stia scritto da qualche parte che i cattolici, in quanto tali, debbano occupare un qualche spazio politico, ma perché il nostro Paese ha bisogno del contributo che i cattolici possono portare alla vita pubblica, traendo risorse preziose da quel grande giacimento di energie, esperienze, valori e idee che il tessuto ecclesiale rappresenta.
Un tema importante, dunque. Che però, a mio avviso, per poter essere affrontato in maniera circostanziata tanto sotto il profilo ecclesiale quanto sotto quello politico richiede di partire da una premessa: di cattolici impegnati in politica, a tutti i livelli e in tutte le forze politiche, ce ne sono tanti. La quasi totalità delle più alte cariche dello Stato e i principali esponenti di governo, come anche delle forze di opposizione, ne sono un esempio eloquente. Ma non solo: ancora più importante per la discussione in corso è la constatazione che una larga parte di cattolici italiani si riconosce convintamente e senza particolari remore legate alla propria appartenenza ecclesiale nelle posizioni delle forze politiche attualmente rappresentate in Parlamento, a partire da quelle attualmente al governo. Tantissimi credenti, cioè, o ritengono che le scelte di vita e le convinzioni che nascono dalla loro fede trovano felice rispondenza nelle iniziative portate avanti da quelle forze politiche, oppure, più semplicemente, pensano che le due cose non debbano essere messe in relazione.
Non è così per tutti, naturalmente, e sono diversi i credenti che non si identificano pienamente con nessun dei partiti oggi sulla scena. Ma se da più parti si invoca una nuova stagione di impegno dei cattolici significa che, al di là dell’attuale configurazione del quadro politico, la situazione del nostro Paese pone alla comunità dei credenti delle questioni da cui occorre lasciarsi interrogare, sia dal punto di vista politico sia da quello ecclesiale. Nella prima delle due prospettive è necessario chiedersi quale sia la forma più adeguata per raccogliere e rilanciare i tanti fermenti presenti nel mondo cattolico, ed è proprio quello che si tenta di fare con il dibattito ospitato sulle pagine di 'Avvenire'. Dal punto di vista ecclesiale – che non è meno importante – mi sembra che le diffuse perplessità rispetto allo stato odierno delle cose implichino quantomeno la necessità di tornare a ri- flettere seriamente sugli esiti delle scelte compiute in passato e a domandarsi, ad esempio, se non sarebbe stato e non sia oggi opportuno sostenere con maggior convinzione quei percorsi ecclesiali di impronta fortemente conciliare che, pur nella loro diversità, si caratterizzano da sempre per lo sforzo di far maturare generazioni di laici consapevoli e responsabili, con un accentuato senso di appartenenza ecclesiale e un’alta concezione del bene comune.
Di laici così, a dire il vero, ne sono cresciuti e ne continuano a crescere tanti, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti che animano la vita ecclesiale. E molti di loro si sono impegnati e si impegnano, anche oggi, in politica, soprattutto a livello locale: uomini e donne, molto spesso giovani, che rappresentano un autentico serbatoio di competenza, pas- sione ed esperienza per il futuro del nostro Paese. Forse, allora, non è del tutto vero, come spesso si sente dire, che il mondo cattolico italiano si sia allontanato dalla politica, tantomeno quello organizzato che si raccoglie attorno ad associazioni e movimenti, enti di volontariato e organizzazioni ecclesiali. Certamente il cattolicesimo organizzato soffre un deficit di rappresentanza politica, specie se guardiamo alle istituzioni nazionali. Soffre la notevole frammentazione che lo caratterizza, che rende meno rilevanti politicamente le sue iniziative e le sue prese di posizione. Probabilmente soffre anche di scarsa capacità comunicativa, caratteristica che impedisce di avere una visibilità adeguata. Questo però non significa che l’associazionismo cattolico si sia 'ritirato dalla politica'. È più vero, casomai, il contrario: è la politica ad essersi ritirata dalla società, chiudendosi sempre di più in logiche cooptative e autoreferenziali, impermeabili a un reale confronto con il mondo dell’associazionismo e di tutte quelle attività coraggiose e innovative che ci sono nel nostro Paese. Se la politica fosse più intelligente, avrebbe dato e darebbe maggior credito e più spazio a questi mondi, che, naturalmente, non sono fatti solo di cattolici, ma in cui i cattolici hanno certamente grande rilevanza.
La soluzione a questo stato di cose potrebbe allora essere la creazione di un partito di cattolici, o di ispirazione cattolica? Non sembra che ci siano le condizioni, politiche ed ecclesiali. Viviamo in una stagione diversa da quella che portò all’affer-mazione della Dc, così come da quella che condusse, un secolo fa, alla nascita del Partito Popolare. Proporre oggi la formazione di un partito più o meno esplicitamente 'cattolico' sarebbe un po’ come se nel 1919 o nel 1943 si fosse pensato di riproporre l’Opera dei Congressi, che nella seconda metà dell’Ottocento aveva consentito ai cattolici italiani di realizzare tante cose importanti, ma rappresentava ormai un’esperienza superata dalla storia. Non solo: ancora più alla radice bisognerebbe chiedersi se un partito cattolico è ciò di cui oggi l’Italia (e l’Europa, il mondo) hanno bisogno. E da questo punto di vista, a me sembra che più di ogni altra cosa, oggi, l’Italia abbia bisogno di proposte capaci di coagulare energie e consensi attorno a progetti buoni per il Paese, per l’Europa e per il mondo. Ha bisogno che si crei un’ampia convergenza tra coloro che aspirano a costruire insieme ad altri un’Italia (e un’Europa) più giusta, più solidale, più generosa. Ha bisogno di raccogliere la passione politica di quanti ritengono necessario custodire la democrazia, senza rinunciare a una prudente manutenzione dei suoi istituti. Ha bisogno di proposte che riducano le fratture presenti nella trama della società, invece che alimentarle. Ha bisogno, insomma, di iniziative che mirino innanzitutto a unire, a mettere insieme e a valorizzare le energie e le esperienze positive che già esistono e che, in gran parte, tengono in piedi il nostro Paese.
Si tratta dunque di dare vita a un processo di apertura verso un futuro condiviso, in cui ci si possa ritrovare anche tra chi non la pensa allo stesso modo su ogni aspetto della realtà. E in questo percorso il mondo cattolico può giocare sicuramente un ruolo importante, come catalizzatore di forze morali, di competenze ed esperienze significative. Ma lo potrà fare solo se saprà andare fin da subito, almeno idealmente, oltre se stesso. Alcune esperienze significative in questi anni sono già state realizzate: penso ad esempio alla campagna per la lotta al gioco d’azzardo e a quella per l’introduzione del Reddito di inclusione come risposta alla crescente povertà. Così come all’appuntamento su 'la nostra Europa' promosso a fine novembre da sette realtà di area cattolica. Bisognerebbe forse proseguire su questa strada con ancora maggior impegno e convinzione, allargando il raggio d’azione. Quale possa essere esattamente lo strumento adatto per un compito simile non è facile dirlo. Sul tavolo c’è la proposta autorevolmente avanzata dal cardinal Bassetti della costituzione di un «forum civico »: un contenitore a cui occorrerà dare forma, dichiarando fin dall’inizio esplicitamente a quale scopo lo si vuole costruire ed escludendo in partenza ogni aspirazione elettorale dei suoi promotori, sgombrando così il campo da ogni sospetto di 'criptopartitismo', ma che già dal nome evoca il desiderio di far incontrare, di mettere insieme, di generare processi.
Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana