La storia di Tim Berners Lee andrebbe raccontata a scuola. Ruota attorno a una data significativa, il 12 marzo 1989. Venticinque anni fa. Quel giorno, il nostro protagonista (tutt’oggi sconosciuto ai più) mandò un memo ai suoi capi al Cern di Ginevra, dove lavorava come fisico. «Ho avuto un’idea. Si chiama World Wide Web, cioè la rete del mondo. In una parola: il Web». Tim aveva 33 anni. Spiegò tutto, per filo e per segno. E i suoi capi gli fecero subito capire che doveva volare basso, perché la sua idea non sarebbe mai stata così universale. Peccato che quella di Tim fosse l’invenzione che ha rivoluzionato la vita quotidiana di miliardi di persone.Il Web, meglio precisarlo subito, non è Internet. Anche se le due cose vengono spesso confuse. Internet è la Rete dei computer, di tutti i computer – da quelli usati per spedire la posta elettronica a quelli che interconnettono le filiali di un’azienda. Il Web, invece, è quel sistema che ci permette di «navigare» sui siti internet.Che Tim fu considerato dai suoi capi, se non pazzo, almeno un po’ esagerato non deve stupirci. Quasi tutti gli inventori appaiono spesso un po’ folli. Non è nemmeno così strano che Tim non abbia subito capito che la sua idea sarebbe diventata una delle scoperte in grado di rivoluzionare il mondo, quasi quanto l’invenzione della stampa. La vera sorpresa è che questo giovane fisico (con il Cern) decise di regalare, nel 1991, la sua scoperta all’umanità.D’accordo, allora la tecnologia non era così ricca come lo è oggi. Ma la scelta di Berners Lee era comunque clamorosa. Rinunciare a diventare miliardario, per aiutare l’umanità a comunicare. «Perché – come ha spiegato – se una persona ha una mezza buona idea e l’altra metà sta nella testa di un altro, il Web è il connettore che permette alle due metà del cerchio di unirsi».Venticinque anni dopo sappiamo che non tutto è esattamente così. Che sul Web circolano tante mezze buone idee che si uniscono ma anche tante pessime idee. E Tim? Oggi, dopo 25 anni, inventa ancora. A chi gli chiede se rimpiange di non essere diventato straricco, risponde: «Il denaro è importante, ma non è tutto. La vera battaglia, da tempo, è tra chi vuole far progredire l’umanità e chi vuole far soldi».