V enerdì pomeriggio, il primo venerdì del nostro itinerario quaresimale, il venerdì che segue il consueto incontro del clero romano con il suo vescovo, il Papa. La grande sala delle benedizioni che ci ha accolti è ormai vuota; finito il vociare festante che accoglie il Papa, e le mani protese verso di lui nel desiderio di un contatto che esprima l’affetto filiale. Spenti i riflettori dei media, intenti a cogliere chissà quale novità possa dire il Santo Padre ai suoi sacerdoti, impegnati nel duro lavoro pastorale. Eppure il cuore e l’anima non vogliono archiviare questo incontro, non vogliono voltare pagina come, sovente, la nostra sbrigativa società ci induce a fare. Cuore ed anima vogliono fare memoria di un evento che non è uno fra i tanti della nostra diocesi, ma che vuol essere l’incontro per eccellenza, l’incontro del presbiterio col suo pastore, il suo riferimento, la sua guida. Un appuntamento nel quale le distanze, che talvolta si respirano con il Palazzo oltre Tevere, si annullano attraverso un abbraccio che sostiene, un segno che testimonia l’unità del presbiterio col suo vescovo e che – come ha sottolineato, con la sincerità che lo contraddistingue, il cardinale vicario Agostino Vallini – vuol essere un sereno e costruttivo scambio di esperienze in spirito di autentica familiarità. Questo appuntamento è anche un’opportunità per 'domandare', sollecitare risposte alle provocazioni che ci arrivano dal nostro essere Chiesa tra la gente, per riportare esperienze pastorali vissute, dal condividere perplessità e angosce, gioie e speranze. Ma, accanto alle risposte che il nostro Vescovo ci offre con puntualità e sagacia, ciò che permane e vivifica è l’incontro in se stesso, l’opportunità di un confronto aperto e disponibile con un pastore unico al mondo perché successore di Pietro, la roccia, colui che segna la rotta e apre la strada nella sequela di Cristo. Tutti noi viviamo immersi in questo tempo a tal punto da esserne segnati interiormente e talvolta affaticati. Le domande che agitano il cuore dell’uomo; le nuove problematiche etiche, sollevate anche dai recenti fatti di cronaca; le difficoltà nel costruire comunità che siano luoghi di accoglienza e testimonianza evangelica nella carità, in un mondo sempre più diffidente e chiuso: sono realtà con cui dobbiamo misurarci. Talora l’entusiasmo cede il passo alla stanchezza, la passione pastorale è mortificata dal non avere riscontri immediati. Capita che una patina di scoraggiamento possa minare anche la nostra speranza. Che fare? Dove guardare? In chi trovare una parola franca che ci incoraggi, ci sproni a non distogliere lo sguardo da Cristo risorto nostra speranza? È questo il significato più vero del nostro trovarci col Papa. Spesso si sente dire, da fior di psicologi, che viviamo una stagione nella quale 'non vi sono più padri'; ma prima della psicologia è il cuore dell’uomo che rivela l’esigenza di trovare una paternità che non lo faccia sentire solo e disorientato in questo mondo. La Chiesa indica all’uomo il volto di Dio come padre, ma perché questa paternità sia credibile deve renderla visibile con coloro che sono chiamati a esserne testimoni e strumenti. Come pastori delle nostre comunità cerchiamo di rivelare questa paternità di Dio. Ma, nel contempo, come collaboratori del vescovo e figli di Dio con tutto il suo popolo, cerchiamo in Lui il volto e l’autorevolezza amorevole di un vero Padre. Abbiamo anche noi bisogno di non sentirci soli e disorientati, di trovare prossimità di cuore per noi stessi e rinnovato slancio per quanto possiamo e dobbiamo offrire a quanti ci sono affidati. Mi torna in mente il Discorso alla Luna del Beato Giovanni XXIII: «È un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di nostro Signore». È questo lo spirito che mi muove ogni volta che devo incontrare il mio Vescovo, questo quello che desidero e spero trovare nel Papa. Questo il senso di un momento che è diventato una consuetudine ma è insieme un seme di novità per la mia vita di uomo e di sacerdote.