Dunque, lavorano in Giordania per dire: venite, qui si tocca il fantastico e rilassante punto più basso del mondo sotto il livello del mare – la Grande Depressione che contiene il miracolo crudo e visionario del Mar Morto – e si toccano anche molti punti vicini al cielo. Questa terra è un grande incrocio e un grande racconto. Lo sa la nostra guida Kalehd, un occhiuto e gentile giordano che ha studiato da ragazzo a Milano. Una miniera di racconti, in cui si incrociano fonti dalla bibbia, dal Corano, da memorie di viaggiatori antichi. E ascoltare i racconti di Giordania significa ascoltare parole che cercano il tuo cuore, il tuo modo di amare, di morire, di pregare.In pochi chilometri incontri l’antico regno dei Nabatei, che sotto la guida di Aretas IV edificarono il sogno funebre e splendido di Petra, una specie di New York di razze e carovane di 100 o 1.000 cammelli che si incrociavano portando merci, spezie e lingue e racconti da ogni parte del mondo. Qui adoravano un loro Giove, Dusharà e una loro Venere, Al Uzzah. Il Dio dei carovanieri li proteggeva. Se ti sposti di poco senti raccontare della Tomba di Aronne, mentre quella di Mosè che morì al monte Nebo nessuno sa dove sia. Si sanno invece dove sono alcune delle 12 fonti che durante l’Esodo aprì con il suo bastone. Popoli sovrapposti a popoli. Come a Um ar rassas in molti mosaici bizantini si vede che le primitive figure sono state coperte, perché iniziava il dominio di un popolo che non amava effigiare l’umano e il divino. Insorgenze iconoclaste cristiane? O la mano di sabbia della conquista Islamica? Ci sono luoghi mozzafiato, come il castello di Kerak, fisso come un’aquila sulla rupe, teatro di scontri tra crociati dalle vite micidiali e il Saladino.
Altri pochi chilometri e puoi vedere in uno dei mosaici più antichi del mondo già rappresentati i luoghi santi, di qua e di là dal Giordano, e poi visitarli in mezzo ai racconti di strani pellegrini, di prostitute come l’antica Maria l’egiziana o di ottocenteschi distinti studiosi svizzeri, importanti allo stesso modo per identificare siti e guardare la storia dentro gli occhi lucenti. La Giordania straripa di storie e se ne inebria, come accade con certe spezie o fumisterie da narghilè. Il piacere spaesante di essere dentro un grande racconto, un enorme racconto di racconti, serve certo a pacificare i cuori, a relativizzare le differenze, a dare una prospettiva grande a quel che sembra premere. Accoglienti e gentili i giordani lo sanno, abitano con naturalezza la terra dei grandi racconti. Ma non sarebbero raccontabili queste storie se non ci fossero stati e se non ci fossero ancora alcune figure. Come il magro ingegner Mkhjian che fuma, sorride e quasi saltella per l’entusiasmo di spiegare le scoperte che identificano su questo lato del Giordano il luogo dov’è stato battezzato Gesù e dove sta sorgendo uno spazio di preghiera per tutte le Chiese. Li dove fu l’inizio del viaggio di Gesù sta convergendo il viaggio pur pieno di differenze di tutte le Chiese. Unite sull’essenziale. Mkhjian si alza, si siede, il posacenere pieno di cicche, il brio di un ragazzo. Oppure il già citato archeologo ungherese che lavora a Macheronte per far sentire nelle pietre la voce di Erode e la danza di Salomè, e il grido del Battista.
La spedizione che guida Mr. Gyozo in questa cima dove del potere di Erode sono rimasti solo rovine e mosche mentre del grido di Giovanni – la cui testa mozzata volò dalle mura addosso ai suoi che lo aspettavano – sono eco e segno popoli ovunque, è il proseguimento del lavoro di alcuni frati francescani che han segnato questi posti. Come l’infaticabile padre Piccirillo, sepolto sul Momte Nebo, a cui tanto si deve per la scoperta e la conservazione, oltre che per i suoi lavori a Gerusalemme e in Palestina. Si muoveva anche lui sulle orme di altri predecessori come Bagatti e Corbo. Tutti sulle grandi orme di Francesco. Uomini che seppero affermare la storicità dell’avvenimento cristiano con un lavoro profetico e accorto. Ei che servirono con la loro vita il grande racconto della fede. A uomini di tale fede e coraggio e perizia si deve oggi la Terra Santa di Giordania. Come quel padre croato, Gerolamo Mihaic, che insieme a Silvestro Sellers, lavorò per primo sul Monte Nebo, luogo sacro di Mosè, negli anni Trenta del secolo scorso. Sapeva come tenersi buoni i tedeschi e gli inglesi, andava a cavallo come un cowboy e tirava di carabina così preciso da far ammutolire i beduini. Nella foto ufficiale della spedizione è quello che sembra insofferente e guarda altrove.