Un sequestro di armi leggere
Caro direttore,
secondo uno studio condotto da “La Nuova Ecologia”, rivista di Legambiente, almeno 10 milioni di armi leggere sono in circolazione in Italia. Un omicidio su tre è commesso da chi le deteneva legalmente. Il nostro Paese con leggi via via più permissive sulla “legittima difesa”, ha infatti aumentato vertiginosamente il numero delle licenze concesse, tanto che è più facile avere la licenza per una pistola o un fucile, che prendere o rinnovare la patente. Al momento le proposte di legge depositate al Senato, provenienti dall’area di centrodestra, che segue lo slogan “padroni a casa nostra”. In Italia ci sono 1.300 punti vendita al dettaglio di armi e munizioni, ai quali si aggiungono più di 400 associazioni sportive dilettantistiche e tiri a volo. Un sistema che produce un business pari a 100 milioni di euro annui. Continua, poi, a svilupparsi un pressing sostenuto dai metodi di propaganda della statunitense National Rifle Association, che sta trovando molti simpatizzanti, soprattutto nel mondo politico, tanto che si parla di introdurre nel nostro ordinamento un «diritto alle armi».
Qualche altro dato significativo: oggi con qualsiasi licenza di porto d’armi si possono tenere in casa 3 armi comuni da sparo; 6 armi sportive (lunghe o corte), 8 armi da collezione; un numero illimitato di fucili e carabine per uso caccia; 200 cartucce per armi comuni, 1.500 cartucce per fucili da caccia; 5 kg di polveri da caricamento. Ognuno può giudicare. Secondo il Rapporto sulla filiera della sicurezza del Censis presentato a giugno 2018, il 39% dei cittadini italiani (per più della metà si tratta di persone con basso livello di istruzione) è favorevole alla sicurezza fai-da-te. In attesa che il nuovo Governo faccia una riforma chiara che fermi questo corsa al “Far West”, la pressione del mercato internazionale delle armi continua... Cordiali saluti.
Paolo Montanari
Non so se in Italia sia più facile ottenere il porto d’armi che prendere la patente di guida, gentile e caro amico, ma certo di fronte alle cifre ufficiali che lei mette in fila non si può restare tranquilli. Giusto ieri, inoltre, è entrato in vigore il decreto legislativo con il quale l’Italia (in questo caso primo Paese nella Ue!) ha recepito con una rapidità sorprendente la direttiva europea numero 853 del 2017 sulla detenzione di armi. E lo ha fatto anche in maniera “generosa”, come del resto si era impegnato a fare «sul suo onore» il leader della Lega e non ancora ministro dell’Interno Matteo Salvini, nel febbraio scorso, alla Fiera di Vicenza sulle armi da tiro, da caccia e da “protezione individuale”: il risultato è che le “armi sportive” che si possono detenere passano da 6 a 12, i colpi consentiti nei caricatori passano da 15 a 20 per le armi corte e da 5 a 10 per quelle lunghe e, infine, che sarà più facile tenere in casa un’arma automatica o semiautomatica di derivazione militare. Come l’Ak47 Kalashnikov, per intenderci.
A maggior ragione, perciò, la sua è una preoccupazione pienamente condivisibile da chiunque tenga davvero alla pacifica e ordinata convivenza, la cui difesa deve essere delegata a chi è addestrato per farlo: gli uomini e le donne delle nostre forze dell’ordine. Pochi detti contengono una verità solare come quello secondo cui “Chi ha un’arma, prima o poi la userà”. E 10 milioni di pistole e fucili in circolazione ci sembrano già tanti. Purtroppo, però, non sono in grado di rassicurarla quando auspica che il governo in carica faccia una riforma che fermi «la corsa al Far West». Non soltanto per quanto ho scritto sopra. Ma anche perché nel “contratto di governo” tra Lega e M5s figura l’impegno a rendere «sempre legittima» la difesa domestica.
È già in cantiere una riforma in tal senso e, se sarà approvata dal Parlamento, non è difficile prevedere un incremento delle domande di porto d’armi e delle vendite di revolver e simili. Ripensamenti – come stiamo vedendo – anche nella coalizione e nel governo gialloverdi sono però sempre possibili. C’è da augurarsi che si arrivi a concludere che un ragionevole passo indietro sia necessario anche stavolta. C’è, infatti, un’altra espressione che suona sinistramente veritiera: “Anche le parole possono uccidere”. È proprio così. Ed è specialmente vero che possono ammazzare quelle contenute nei testi di legge predisposti (anzi, minacciati) su tale delicatissima materia e persino di più quelle degli slogan propagandistici che continuano a lastricare la strada che ci porterebbe diritti a un “Far West” che l’Italia non merita e non si può permettere. Ricambio con cordialità, anche a nome del direttore, il suo saluto.
Danilo Paolini