Le immagini di Gaza fotografano un popolo che si incammina verso una meta desiderata, ritornare a casa sino a pochi giorni fa era impensabile. È un viaggio di pochi chilometri che, percorsi a piedi e con tante difficoltà e disagi, sembrano tanti di più. Sono uomini, donne, bambini, anziani, disabili. Sono stanchi, malati, affamati, infreddoliti. Stanno tornando verso case distrutte, verso luoghi cari resi irriconoscibili dalla guerra. Forse riceveranno aiuti, cibo, coperte ma non ritroveranno le loro case. Hanno perso persone care, la loro terra è stata contaminata e avvelenata. Esseri umani che avevano già poco, sono stati privati di tutto, anche della dignità e al momento non è ancora stata scritta la parola fine alla loro sofferenza. Eppure riescono a gioire, riescono a sperare: i bambini hanno percepito che qualcosa è cambiato e la tristezza degli occhi sta lasciando il posto ai sorrisi, gli anziani ringraziano perché possono tornare a vedere luoghi cari che mai avrebbero abbandonato. Non è nostalgia, è la possibilità di ritornare a essere considerati persone. È la speranza della vita che si fa faticosamente spazio fra le strade distrutte dalla sofferenza. Ottanta anni fa il 27 gennaio 1945, è iniziato il percorso del riconoscimento di una tragedia e il mondo si è mobilitato perché quella tragedia non avvenisse mai più. Conserviamo nel cuore i racconti e le storie, abbiamo negli occhi le immagini della liberazione di chi sopravvisse nei campi di concentramento ottanta anni fa. Erano persone che avevano subito torture, erano uomini, donne, bambini, anziani, disabili che avevano sofferto la fame e la sete, il freddo e il caldo, erano essere umani a cui erano stati negati diritti e a cui era stata oltraggiata la dignità. Chi quel 27 gennaio 1945 era stato liberato, aveva ricevuto la possibilità di tornare a vivere nelle proprie città e nelle proprie case, poteva vedere riconosciuti i propri diritti. L’umanità già da allora si era impegnata ad affermare il rispetto e la sacralità della vita. Il 27 gennaio 2025 è l’inizio di un percorso simile per il popolo palestinese? Saranno riconosciuti i diritti di chi chiede di rimanere a vivere su una terra devastata nella speranza di ritrovare le proprie radici? La memoria è il sentimento collettivo che non deve fare dimenticare l’odio che hanno diviso l’umanità ma che, unita, può sconfiggere la violenza e ricostruire la fiducia nel prossimo. Il ricordo è un sentimento intimo e personale che non cancella le cicatrici della sofferenza ma che può da queste trarre la forza del perdono. Coltiviamo la speranza della pace, pregando e impegnando tutte le nostre forze perché la memoria e il ricordo siano sempre fonte di riconciliazione e mai strumento di vendetta.
Vicario della Custodia di Terra Santa
![Gaza, la speranza si fa strada nella sofferenza Gaza, la speranza si fa strada nella sofferenza](https://www.avvenire.it/c/2025/PublishingImages/5a8c2a42489744dd9d9ea750f977c9ec/faltas.jpg?width=100)
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