martedì 27 luglio 2010
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Si tratta senza dubbio di una delle maggiori e più clamorose fughe di notizie di tutti i tempi: decine di migliaia di file d’intelligence relativi alla guerra in Afghanistan sottratti e pubblicati su Internet. Ci vorrà tempo per valutare la reale portata del danno che la loro diffusione può fare agli Stati Uniti e allo sforzo della comunità internazionale per la stabilizzazione del Paese, così come per estrarne tutte le informazioni riservate. Propro come negli scatoloni di un frettoloso trasloco vi si trova di tutto, spesso in modo confuso.Certamente, però, contengono notizie e rivelazioni estremamente dolorose, sgradevoli e imbarazzanti. Fra tutte, l’emergere di nuovi massacri di civili che la Nato sembrerebbe aver taciuto o minimizzato, oltre a dati sconfortanti sull’efficienza delle forze di polizia afghane e sulla lealtà del Pakistan nella guerra ai taleban. In tutta onestà, nulla di clamorosamente nuovo: per quanto esecrabile, non stupisce che in anni passati si sia cercato di minimizzare le vittime civili dei raid aerei della forza internazionale. Con i dati rivelati, si aggiungono nuove vicende di orrore, sangue e morte alla storia di un Paese che da decenni vede poco altro.Neppure sorprende quanto si dice circa i potenti e ambigui servizi segreti militari pachistani (Isi), ossia che abbiano spesso aiutato i taleban anziché gli alleati occidentali. È ben noto che l’Isi ha creato agli inizi degli anni 90 le milizie degli «studenti del Corano», per volontà del proprio governo e con l’aiuto saudita; gli strettissimi legami fra militari di Islamabad e guerriglieri anti-Karzai non sono stati certo recisi dal mutamento di linea politica a cui è stato obbligato il Pakistan nel 2001. Troppo forti erano i loro vincoli di militanza religiosa, di vicinanza tribale, i legami personali ed economici, come il comune coinvolgimento nei traffici illeciti e nel commercio della droga.Chi abbia lavorato negli archivi sa, in ogni caso, che un documento autentico non è automaticamente un documento vero: quanto sfuggito dagli uffici militari non è necessariamente ciò che è accaduto, ma la rappresentazione che ne aveva o che voleva accreditare l’intelligence. Questi rapporti ci raccontano inoltre non solo quanto andava avvenendo nelle desolate province afghane, ma parimenti le ossessioni di Washington nei confronti di al-Qaeda, le ingenuità nel capire il mosaico tribale, gli interessi reali statunitensi verso quel Paese. Insomma, raccontano una storia che svela tanto l’oggetto di quel racconto quanto il soggetto che la narra.E tuttavia, l’aspetto forse più sinistro di questa clamorosa fuga di notizie è nel fatto stesso che sia avvenuta. Da tempo l’impegno della Nato in Afghanistan è come una barca squassata da un mare in tempesta: l’attivismo indomabile dei taleban, le continue perdite militari, la cacciata del comandante in capo Stanley McChrystal, i dubbi crescenti di chi pensa che la partita non possa più essere vinta. Ora un nuovo colpo a rafforzare il fronte di quanti, a Washington come in Europa, ritengono che ci si debba sganciare il prima possibile da quel quadrante, per ridurre l’impegno militare alla sola lotta iper-tecnologica contro i capi taleban e di al-Qaeda. Una vecchia ricetta risultata perdente, ma che ha sempre più sostenitori con il passare del tempo e con la crescente disaffezione dell’opinione pubblica, stanca dei troppi morti, delle enormi spese militari sostenute, degli anni di guerra passati senza una vera vittoria.Non sarebbe la prima volta che una fuga di notizie è orchestrata per fini politici: ma di tutto l’indebolita Amministrazione Obama ha bisogno tranne che di una stagione dei veleni e di conflitti intestini proprio sul fronte estero di maggior impegno e complessità.
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