Dal Festival dell'Economia civile un messaggio di fiducia
venerdì 4 ottobre 2024

La sfiducia, si sa, è una brutta bestia. Soprattutto perché si autoalimenta e risulta particolarmente dura da scardinare. Il primo motivo è che trattandosi di un sentiment, ovvero di uno stato d’animo, è un indicatore di difficile lettura rispetto a dati economici “tangibili” come il tasso di disoccupazione, il Pil di un Paese o la ricchezza pro capite. E proprio questa natura immateriale del parametro complica la scelta sulle modalità d’intervento per migliorarla. La seconda ragione per cui contrastare la predominante negatività è un’impresa ardua va ricercata nelle tensioni globali che stiamo attraversando. L’attualità, infatti, non aiuta. Scenari geopolitici complessi a cui si sommano vecchie e nuove emergenze economiche ancora lontane dalla risoluzione: il preoccupante aumento delle diseguaglianze, le tensioni commerciali crescenti, l’avvitamento delle principali industrie europee, la crisi climatica e una crescita sfibrata.

L’elenco dei malesseri mondiali potrebbe essere molto più esteso, ma anche fermandosi qua è fin troppo evidente che stiamo attraversando una fase di “policrisi” da cui uscire risulta un’operazione complessa. Se siamo arrivati a fare i conti con una mole così imponente di criticità gran parte della responsabilità va attribuita al paradigma politico ed economico che ci siamo autoimposti. Così come alla base delle guerre c’è per esempio la logica del perseguimento di singoli interessi e di scelte dettate dall’alto (con la contestuale mancanza di cooperazione multilaterale), le radici delle tensioni economiche affondano nelle storture degli equilibri dominanti.

Perché se da un lato il vecchio modello impostato sulla creazione di beni e servizi ha prodotto ricchezza tecnologica e aumentato le aspettative di vita nel mondo occidentale, è altrettanto innegabile che lo stesso paradigma abbia mostrato tutti i suoi limiti tra diseguaglianze sempre più ampie, crescita del lavoro povero, ingiustizie fiscali, diritti troppo spesso negati e insostenibilità ambientale.

L’aspetto incoraggiante di fronte a mali e a problemi di questa portata è che non viaggiano verso un destino inesorabile. Le “polisoluzioni” ci sarebbero, ma impongono anzitutto un coraggioso ripensamento del paradigma in chiave generativa e cooperativa. Dal Festival dell’Economia civile che si è aperto ieri a Firenze arriva un messaggio di speranza che va proprio in questa direzione. Già il titolo della sesta edizione dell’evento è emblematico della cura migliore che servirebbe per affrontare le sfide dei nostri tempi: “L’Ora di partecipare”. Del resto, i dati e le classifiche del rapporto sul BenVivere e sulla generatività dei territori che verranno presentati domani confermeranno che sono le aree del Paese maggiormente in grado di favorire la partecipazione di cittadini, di imprese e di associazioni alla vita della comunità a ottenere i risultati migliori in termini di soddisfazione e di livello di benessere.

Significa che a fare la differenza è quasi sempre la variabile della generatività, ovvero la capacità di “accendere” il singolo affinché con le sue azioni e relazioni abbia un impatto positivo sulle altre persone. La partecipazione attiva e il civismo non sono fattori indecifrabili o circoscrivibili al voto alle urne per gli appuntamenti elettorali, ma al contrario si possono misurare concretamente su un territorio sulla base di una serie di criteri: la facilità a creare nuove startup e organizzazioni sociali, la fioritura di vita umana contro il crollo demografico, la produzione di brevetti, la capacità di avviare processi di co-progettazione e di amministrazione condivisa, la proliferazione di comunità energetiche rinnovabili.

In questi giorni a Firenze le “buone pratiche” già presenti a livello locale e i protagonisti di modelli partecipativi virtuosi si scambieranno idee e costruiranno reti con l’obiettivo di moltiplicare l’energia generativa di territori e comunità. Senza contare che il civismo e la partecipazione sono proprio quelle vitamine che fanno bene “al cuore della democrazia”, per citare il tema della 50esima Settimana Sociale dei Cattolici di Trieste dello scorso luglio. Come sosteneva Alexis de Tocqueville «quando il cittadino è passivo è la democrazia che si ammala». Ecco perché vale davvero la pena di investire in attivismo e generatività affinché si diffondano. Anche la partecipazione – e non solo la sfiducia – si autoalimenta. E può essere contagiosa.

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