Caro direttore,
il mio è solo uno sfogo che si consegna a chi è all’altezza di capire. Dicembre, tempo di lauree: tre amiche che insieme vivono la gioia di vedere i propri figli raggiungere traguardi importanti, fatti di tanto studio e di sacrifici per tutti. E poi? Per tutti e tre un volo, un viaggio e un lavoro all’estero. Noi rimaniamo qui a vedere con amarezza un’Italia litigiosa che non vede la ricchezza che perde ogni giorno. Mi firmo, ma lei sia gentile e non metta il mio cognome.
Giovanna M.
Vorrei dirle che il suo pessimismo è eccessivo, cara e gentile signora Giovanna, ma non ci riesco. Non per una sorta di condiscendenza, ma semplicemente perché sono assediato dai suoi stessi pensieri. Purtroppo è vero: negli anni che stiamo attraversando, i leader delle principali forze politiche italiane dopo essere stati a lungo disattenti appaiono intenti e determinati ad alimentare paure, pretese e risentimenti più che sentimenti di sana appartenenza, generose ambizioni e dignitose speranze per il futuro. Spero che gli slogan cambino, ma soprattutto spero che fatti concreti cambino la realtà. Se accadrà ne sarò felice. Ma per intanto capisco i giovani come quelli che lei descrive e che anch’io conosco. Donne e uomini che, soprattutto se hanno studiato, se si sono preparati a sperimentare le conoscenze e far crescere le competenze, non si fanno abbindolare dalle chiacchiere e dalla prospettiva di vivacchiare più o meno assistiti e, comunque, "schierati" contro giovani dalla pelle o dalle idee poco o tanto diverse dalle loro in un grande e libero Paese che continuano a pensare e a dimostrarci rattrappito e piccolo. Tanti giovani, anche se forse ancora non abbastanza, hanno capito e sanno, come lei, come me, che così l’Italia non si difende. Così l’Italia – questa terra, la nostra stessa anima comune – si può solo perdere. E allora, dopo l’investimento che famiglie e sistema d’istruzione e di alta formazione hanno fatto, continuano a prendere la via dell’estero. Uno sciupìo: sfido chiunque a negarlo. Anche una scelta libera, certo. E, per più di un verso, una decisione comprensibile soprattutto per chi – come lei e come me – pensa al mondo come alla «casa comune» degli esseri umani. Eppure – comunque la si metta, quali che siano le motivazioni di questa emigrazione – un esito desolante.
Dico spesso, per "svegliare" le persone a cui mi rivolgo e con cui dibatto (soprattutto se hanno potere politico ed economico), che in Italia non diamo alla luce abbastanza figli, spingiamo tanti di loro ad andarsene e, al tempo stesso, non vogliamo saperne nulla dei figli di altre terre che arrivano da migranti nella nostra (sino al punto che non ci accorgiamo che, nella maggior parte dei casi, neppure vogliono fermarsi qui da noi). Il vero problema del domani del nostro Paese, il cuore stesso del nostro «declino», è riassunto in queste tre concrete, dure e realissime immagini. Tre diverse manifestazioni di uno stesso scoramento che fa rima con svuotamento. Una sfiducia che si fa addirittura paura della vita nuova... Non è solo questa la realtà, grazie a Dio e a tanti italiani di buona testa, di buon cuore e di buona lena. Ma è anche questa. E il risultato si è visto, si vede e minaccia di vedersi sempre di più. Già gentile signora Giovanna, è proprio una perdita secca. Una dissipazione di ricchezza umana, l’unica che conti e dalla quale tutto il resto discende. Proprio per questo, però, non possiamo smettere la speranza e l’impegno per una società giusta, ben regolata e accogliente, per scelte politiche che offrano ai giovani prospettive e lavoro senza perseguire sterili arroccamenti o decrescite (in)felici. Voltandomi indietro a considerare tutto ciò che è accaduto nell’anno che sta per finire, questa consapevolezza e questa resistenza allo spirito malato del tempo mi sembrano ancora più necessarie e urgenti. Facciamoci gli auguri, e che non siano solo un modo di dire: rimbocchiamoci le maniche. Nel mondo che dobbiamo preparare, si va e si torna. E nessuno resta indietro, nessuno si perde.