L'avvio della strategia economica del nuovo governo Renzi sembra tener conto – consapevolmente o inconsapevolmente – che il gran problema dell’Italia è, come dicono gli economisti, quello della «debolezza della domanda aggregata» (cioè della domanda di beni e servizi da parte delle famiglie, ovvero dei consumi interni). E che la sua gravità non pare attenuarsi perché, a fronte di conti sostanzialmente in ordine, il dato sulla disoccupazione continua a peggiorare. Per questo motivo, schiacciarsi sul lato di visioni mercantiliste che guardano solo alla competitività dell’offerta (magari riducendo i salari e, quindi, la capacità di acquisto dei lavoratori) rischia di non produrre alcun rilancio. Il programma annunciato dal nuovo presidente del Consiglio prevede, assieme a una riduzione di almeno 10 miliardi di cuneo fiscale, lo sblocco immediato dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione, un piano (peraltro urgente) di ammodernamento dell’edilizia scolastica da 7 miliardi (che avvierebbe attività ad alta intensità di lavoro) e un sussidio universale di disoccupazione (in alterativa alla proposta di reddito di cittadinanza presentata da Acli e Caritas) che non costerebbe meno di altri 10 miliardi. Per compensare tutte queste uscite dal lato delle entrate, la “luna di miele” (ma ancor più la politica monetaria espansiva a lungo perseguita da Stati Uniti e Giappone) producono per ora un potenziale tesoretto di 2–3 miliardi. L’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie, che tanto ha spaventato, può portare nelle casse dello Stato non più di 2 miliardi. Per il saldo dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione, Renzi intende a quanto pare usare la Cassa Depositi e Prestiti per lo sconto delle fatture secondo un modello attuato in Spagna. I progetti di cui abbiamo letto sinora sono di fatto partite di giro che coinvolgono le banche che guadagneranno dall’anticipo delle fatture. E perciò finiranno all’esame della commissione Ue, per capire in che misura rientrano sotto il perimetro del debito.Insomma, nonostante l’obiettivo corretto sembri essere quello di una riqualificazione della spesa, si oscilla ancora una volta tra Scilla – una manovra a saldo zero sulla domanda aggregata (qualora si trovassero le coperture e dunque tagli che compensino le spese) – e Cariddi, uno sforamento dei vincoli europei sul deficit qualora le coperture non fossero trovate. Intanto, la situazione dell’inflazione europea – i prezzi stanno decelerando in modo così vistoso da prefigurare, secondo alcuni osservatori, uno scenario deflattivo – continua a essere preoccupante, aggravando il costo reale del debito del Paese e rendendo salatissimo il conto prossimo venturo del Fiscal Compact.Il governo ha sicuramente bisogno dell’aiuto di tutte le migliori forze ed energie del Paese per rendere questo progetto più chiaro e sostenibile. Bisogna allargare il gioco a livello internazionale su alcuni tavoli decisivi se vogliamo uscire dall’impasse. Primo, è opportuno o no chiedere uno sforamento del 3% per coprire le uscite previste? Sono ormai in molti a pensare che questa sia l’unica possibilità a breve per emergere dall’impasse. Soprattutto se si dimostra ai nostri partner che si hanno buone idee, visto che la sostenibilità dei rapporti deficit/Pil, debito/Pil non migliora grazie a mere riduzioni del numeratore (il deficit e il debito) che spesso, anzi, deprimono l’economia facendo calare ancor più il denominatore (il Prodotto interno lordo), ma attraverso una riqualificazione che può anche aumentare il valore che sta sopra, se costruita attorno a iniziative che danno uno slancio fondamentale al valore che sta sotto. Secondo, bisogna spingere, sfruttando l’opportunità del semestre italiano, affinché arrivi dalla politica fiscale comunitaria uno stimolo diretto alla domanda aggregata dei Paesi membri. Terzo, con il contrasto all’elusione fiscale (cosa più articolata della “Google tax”) attraverso una serie di direttive la Ue cercherà di metter mano a un “tesoretto” di ben mille miliardi (per noi circa 60). Abbiamo tutto l’interesse a portare avanti questo processo. Quarto, la riforma della finanza con il ripristino della separazione tra banca commerciale e banca d’affari può aumentare il credito all’economia, e il progetto europeo a undici di tassazione delle transazioni finanziarie può portare in dote altri 2–3 miliardi. Quinto, servirebbe molta meno timidezza nei confronti del gioco d’azzardo, dato che dal condono della maxi evasione denunciata dalla Corte dei Conti è finora uscita una multa–topolino. Sesto, un progetto ancora più ambizioso anche se non foriero di risultati a breve è quello di spingere per riforme della Banca centrale europea spostando l’attuale consenso Ue in direzione di strategie e comportamenti più simili a quanto avviene oltreoceano. Settimo, all’interno del nostro Paese bisogna fare di tutto per colmare il gap di competitività con i maggiori partner europei (banda larga, efficienza della giustizia e della pubblica amministrazione) e per valorizzare i nostri vantaggi competitivi non delocalizzabili, cioè lo shale gas del nostro Paese che è rappresentato dai giacimenti culturali, ambientali, artistici. Mettendo il genius loci dei nostri territori dentro beni, servizi e turismo.La freschezza, l’ariosità e l’impostazione di questo governo lasciano prefigurare il potenziale di una visione non riduzionista della persona, dell’impresa e del valore proprio secondo i princìpi che la scuola dell’economia civile sta portando avanti da anni nella sua missione culturale. Ma tutto questo rischia di diventare un pericoloso boomerang se non si passasse l’esame decisivo di dare risposte al Paese sulle urgenze della disoccupazione e della povertà di ritorno. Dobbiamo vincere con concretezza la sfida di sempre se vogliamo cambiare la cultura di questo Paese.