venerdì 3 luglio 2009
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Non si tratta della Cassazione, ma speriamo che la decisione del Tribunale del lavoro di Campobasso possa fare ugualmente giurisprudenza. Costituire un precedente in grado di cambiare non solo l’esercizio del diritto, quanto soprattutto influenzare in maniera diversa i comportamenti e la cultura del nostro Paese. I giudici molisani, infatti, hanno stabilito che fare la casalinga è un lavoro a tutti gli effetti e perciò i permessi previsti per il padre lavoratore, nel primo anno di vita del figlio, spettano al genitore maschio anche se la madre è casalinga. L’ordinanza dei giudici Russo, Albini e D’Auria, emessa il 25 maggio scorso e resa nota ieri, spiega infatti che «la persona addetta alla cura e alla pulizia della casa investe le proprie energie lavorative al pari di qualunque altro genere di lavoratore che svolge la propria attività al di fuori delle mura domestiche, sottraendo inevitabilmente tempo alla cura del neonato». Da qui il diritto al «permesso allattamento» non solo per il papà lavoratore con moglie lavoratrice autonoma, ma da estendersi a qualunque tipologia lavorativa della madre, compresa l’attività di casalinga. Un principio che finora aveva trovato un solo, parziale, precedente: il Tar di Firenze aveva riconosciuto tale diritto a un lavoratore con moglie casalinga, in virtù però della nascita di due gemelli. Finalmente, quindi, viene riconosciuto che organizzare la vita in comune in una casa, tenerla in ordine e pulita non è affare da poco. Ma soprattutto: se queste attività, così necessarie e impegnative, rischiano di sottrarre tempo alla cura di un neonato, quanto più impegnativo e importante e degno di attenzione dev’essere considerato quel lavoro di cura complessivo che le madri – casalinghe e non solo – svolgono crescendo ed educando i figli, mentre badano anche alla casa? Un’attività che sfugge alle statistiche del Pil, pur concorrendo grandemente allo sviluppo del Paese; che il mercato non riconosce, non remunera, nonostante in realtà determini efficienza e risparmi incalcolabili al sistema statale. Un welfare di cura, quello assicurato dalle famiglie, che invece meriterebbe di essere maggiormente agevolato per il suo valore intrinseco e per la sua funzione sussidiaria. C’è però un ulteriore piano della sentenza, relativo al ruolo del padre, che va valorizzato. Il fatto che il papà possa godere di permessi e riduzioni d’orario durante l’allattamento del figlio riconosce l’importanza anche della sua presenza in quel momento fondamentale per lo sviluppo emotivo del bambino, periodo al tempo stesso intenso e assai delicato per la mamma. Tanto che in alcuni Stati europei si stanno sperimentando periodi di congedo obbligatorio per i neo­padri. La maternità, i primi mesi e anni di vita di un bambino non sono un semplice 'affare privato'. Non della madre, che deve poter contare fin da subito sull’aiuto concreto del partner. E neppure della coppia in sé, alla quale la società nel suo complesso dovrebbe guardare con maggiore solidarietà e disponibilità. Perché è in quel momento che comincia davvero la costruzione di ciò che – insieme – saremo.
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