Ansa
Gentile direttore,
ho letto con estremo interesse l’articolo della ministra della Famiglia Maria Elena Bonetti, e alcune sue proposte sono certamente condivisibili, mentre su altre devo confessare la mia perplessità. In particolare non mi trova d’accordo la proposta dell’assegno unico universale. In teoria questo provvedimento va nella direzione giusta, in pratica manca di un presupposto fondamentale, e cioè il riconoscimento che nella società prima viene la famiglia e dopo viene lo Stato. A dire il vero anche la nostra Costituzione lo afferma: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Quindi lo Stato dovrebbe riconoscere anche i diritti economici. Per questo dico che la proposta dell’assegno unico non coglie nel segno. Sarebbe, anzi lo è senz’altro, molto più giusto applicare il quoziente famigliare, che rende giustizia alla famiglia, permettendo di trattenere prima della fiscalità i mezzi per il sostentamento dei figli. Molti a questo punto obietteranno: ma le famiglie che sono così povere da non pagare tasse, i soldi chi glieli dà? Il quoziente famigliare risolve, come si sa, anche questo quesito, con un reddito aggiuntivo per le famiglie 'incapienti'. Concludendo, la famiglia con il quoziente si mantiene da sé senza interventi aggiuntivi dello Stato, e alle famiglie più povere va il reddito di incapienza.
Mariano Cuccu
Gentile signor Cuccu, mi sono occupato spesso della questione che solleva e il direttore mi invita a dialogare con lei. Comincio, prendendola un po’ alla lontana con uno sguardo storico e strettamente tecnico, cioè accantonando per semplicità una lettura valoriale e spirituale, da una constatazione: in realtà famiglia e welfare sarebbero istituzioni in concorrenza. La famiglia è da sempre la prima cellula di ogni società, mentre lo Stato sociale è intervenuto nel mondo moderno, con l’avvento della società industriale, per assolvere o sgravare la famiglia da una serie di compiti. Non è un caso che il primo vero intervento di welfare in Europa, l’introduzione nel 1891 di un sistema previdenziale nella Germania del cancelliere Bismarck, sia coinciso con il primo calo strutturale dei tassi di natalità. La questione centrale è proprio questa: nelle società moderne lo Stato e il mercato “devono” occuparsi in modo specifico “anche” della famiglia con risorse dedicate, almeno per garantire la sua funzione riproduttiva. I Paesi che hanno compreso questo in tempo hanno mantenuto una certa vitalità demografica. I Paesi che invece hanno proceduto più timidamente nella costruzione di un vero welfare per la famiglia, oggi pagano un prezzo elevato. O meglio: stanno facendo pagare il conto a chi è già genitore e a chi vorrebbe e potrebbe diventarlo. Un esempio può aiutare a capire il concetto. Una delle conquiste della società contemporanea è la possibilità che le donne studino ed entrino nel mercato del lavoro. Quello che si nota, tuttavia, è che se a questo non corrispondono avanzamenti simmetrici nelle altre istituzioni sociali, ecco che le donne smettono di avere figli, o tendono ad averne meno. Il calo della natalità, in sostanza – al netto dell’impatto culturale del consumismo – è ascrivibile in larga parte o a una non corretta risposta dello Stato nel sostegno alle famiglie, o a un mancato adeguamento della società e delle imprese alla “nuova” organizzazione dei tempi di vita e di lavoro. Il Family Act che è stato delineato propone di intervenire correttamente su vari livelli: le politiche di conciliazione e i contributi economici. Lei chiede se sia meglio l’assegno unico o un sistema fiscale di vantaggio per chi ha figli. Rispondo con una domanda: perché contrapporli? I sistemi più avanzati prevedono sia assegni universali per tutti i figli a carico sia vantaggi fiscali per tutte le famiglie con figli. La vera contrapposizione, in sostanza, non è tra le diverse misure per le famiglie (che pure se restano timide o piene di paletti diventano ininfluenti e possono tradursi in spreco di risorse), ma tra le risorse non date per i figli e quelle elargite ad altri soggetti o categorie. In questo senso l’Italia deve ancora entrare pienamente nella modernità. E il paradosso è che si sostiene il contrario...