Gentile direttore,
ho letto con vivo interesse la risposta di Antonella Mariani alla signora Serena Caprio e in merito mi permetto di inviarvi alcune mie considerazioni. La mia proposta di legge per estendere anche ai single la possibilità di adottare un bambino non muove affatto dai “diritti degli adulti” né vuole asserire un ipotetico “diritto ad adottare”, ma origina – al contrario – dalla necessità di porre al centro solo l’interesse dei bambini e – segnatamente – l’interesse degli stessi a essere amati e accolti da un adulto ritenuto idoneo allo scopo da un giudice e da degli esperti piuttosto che essere trattenuti in un istituto.
Non vi è da parte mia nessuna intenzione di mettere in discussione l’assunto che sarebbe preferibile per un minore essere accolto da un padre e da una madre (ancorché anche in questo caso non si possa generalizzare e si debba sempre verificare l’idoneità di entrambi all’adozione) e anzi sono altresì proponente in Parlamento di una velocizzazione delle adozioni per le coppie. Tuttavia non comprendo perché – qualora ad esempio non ci siano coppie disponibili ad accogliere un minore come nel recente caso di cronaca della bellissima Alba – un bambino debba essere costretto a rimanere in un istituto e non possa invece essere cresciuto da un single amorevole. Si tenga conto che già oggi – come precisato dalla stessa Mariani – la legge consente l’adozione del single per casi residuali e che uno di questi è quando il bambino sia portatore di disabilità. Trovo questa disposizione irragionevole ed ignobile: irragionevole perché se un single è ritenuto idoneo dall’Ordinamento a poter crescere un bimbo che più di altri ha bisogno di cure dovrebbe essere ritenuto idoneo per ogni bambino; ignobile perché distingue tra bambini di serie A e bambini di serie B applicando una sorta di vergognosa eugenetica giudiziaria alla volontà di amare da parte di un single.
Per questo continuerò a portare avanti la mia proposta legislativa pur convinta che la famiglia composta da padre e madre sia il meglio che un bimbo possa sperare di avere ma altresì consapevole che già attualmente – piaccia o no – i nuclei familiari monogenitoriali (causa divorzio o decesso di un coniuge) in cui è presente un figlio minore sono in Italia circa un milione e 34mila (di cui l’86% sono madri single) e nessuno si sogna – fortunatamente – di sottrarre questi bimbi dalle cure delle loro madri o dei loro padri o di mettere in discussione le loro capacità genitoriali. Non pretendo con questa mia di influire sulle idee sue e della sua collega Mariani o sulle posizioni in merito di adozione tenute da “Avvenire”, ma la ringrazio comunque per l’attenzione e lo spazio che mi sono stati concessi.
Laura Ravetto giurista, deputata di Forza Italia
Gentile direttore,
il Congresso delle famiglie organizzato a Verona da associazioni di diversi Paesi, che tante polemiche sta suscitando, invita a interrogarsi di nuovo su un nodo fondamentale del nostro tempo: l’importanza della famiglia e il problema della denatalità. Temo tuttavia che la prospettiva del consesso non sia volta a cercare risposte concrete da fornire all’amore e alla vita per andare incontro alle sofferenze delle famiglie che sono in condizione di maggiore bisogno, per povertà, migrazione, malattia, violenza, marginalità ed esclusione sociale. Così come temo che si affronti da un’ottica inefficace la questione delle culle vuote. Oggi, nel nostro Paese si fanno sempre meno figli e sempre più tardi (anche sopra i 40 anni). I numeri del crollo delle nascite tracciano un trend sempre più asfittico. I dati Eurostat pubblicati pochi giorni fa mostrano che l’Italia è il Paese europeo che negli ultimi dieci anni ha registrato la flessione maggiore nelle nascite: il tasso di natalità è fermo all’1,31% figli per donna, ultimo tra i principali Paesi europei che pure si collocano da tempo al di sotto di un insufficiente 1,5.
In un Paese come il nostro, dove la popolazione è largamente anziana, il crollo delle nascite, unito all’allungamento dell’aspettativa di vita, determina un’allarmante assenza di ricambio generazionale. Il rischio è che a Verona, invece di discutere per trovare delle risposte reali e concrete, si alzino voci tese a sminuire la responsabilità e la dignità delle donne che, secondo le teorie di alcuni degli organizzatori e relatori dovrebbero esclusivamente identificarsi con la funzione riproduttiva. Una tesi questa che dimentica l’enciclica Mulieris Dignitatem o le leggi che prevedono, proprio a partire dalla nostra Costituzione, l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Le statistiche dimostrano, poi, che il tasso di natalità cresce laddove la donna lavori e abbia una sua autonomia economica, specie se supportata da una forte rete di servizi per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Purtroppo, nel nostro Paese, come in molti altri, non si stanno mettendo in campo azioni che rispondano alla necessità di rimuovere i blocchi normativi e sociali che impediscono di essere famiglia e di creare le condizioni affinché la genitorialità non sia un percorso a ostacoli. E non è più sufficiente – come dimostra la Francia – puntare su una politica familiare orientata al sostegno economico, fiscale e contributivo, se non si propongono soluzioni davvero all’altezza della sfida progettuale e relazionale che il “mettere al mondo” comporta. La nascita di un figlio è un passaggio decisivo nella vita della coppia che richiede la ridefinizione dei tempi di vita e la ricerca di nuovi equilibri, un impegno affettivo, organizzativo, relazionale che cambia irreversibilmente la vita, soprattutto delle madri. Intervenire per risollevare la denatalità deve poter contare su un insieme di azioni che abbiano la loro cornice di riferimento in politiche familiari e di welfare innovative, capaci di riadattare il sistema sociale a esigenze differenti e complessità crescenti. Agire in questa dimensione è tutt’altro che semplice. Richiede, innanzitutto, uno sforzo culturale e politico importante, difficile ma doveroso. Il Congresso che si terrà a Verona, se davvero volesse sostenere la famiglia dovrebbe iniziare da qui, dall’immaginare politiche di sostegno alla genitorialità non da incomprensibili ripiegamenti. Se lo facesse il dialogo sarebbe possibile, e possibile sarebbe un utile lavoro comune.
Vanna Iori, pedagogista, senatrice del Pd
Pubblico volentieri le lettere di queste due parlamentari, appartenenti a gruppi e ad aree politiche diverse, ma capaci entrambe di interpretare il loro ruolo e portare le loro competenze nel dibattito politico con lo stile di chi ha opinioni approfondite tanto quanto seria disponibilità al dialogo. Sia l’onorevole Ravetto sia la senatrice Iori si concentrano su tematiche “familiari” (l’una in tema di adozioni, l’altra di politiche per la conciliazione dei tempi di vita e lavoro e per la natalità), ancor più importanti in questa vigilia, ormai quasi finita, di un evento – il Congresso mondiale delle famiglie voluto a Verona da una rete internazionale che fa capo alla Iof – che pregiudizi, radicalismi e giochi politico-mediatici minacciano di confinare, come ho già avuto modo di sottolineare, nell’infuocato limbo di una polemica inutilità.
Mi auguro senza farmi illusioni – ripeto anche questo – che non sia così, perché spero che prevalga una buona volta il metodo di apertura al confronto e di ascolto vero della realtà e delle ragioni in campo che la senatrice del Pd e la deputata di Fi mi sembrano attuare con convinzione pari almeno a quella con cui propongono i propri argomenti. Credo che sia la strada più utile da percorrere. Sulle questioni della famiglia, come su tutte quelle che riguardano la vita degli uomini e delle donne, si possono e si debbono avere idee forti e chiare (e noi, come si sa, le abbiamo), ma anche la rispettosa delicatezza di chi si rende conto di maneggiare (anche solo con le parole) quanto c’è di più fragile e potente, ma soprattutto di mai omologabile in rigidi schemi prestabiliti, nelle nostre esistenze e nelle relazioni che danno loro senso.
Basta partire e tener cara una verità autoevidente per quanto da sempre contraddetta dall’egoismo: ogni figlio proviene da una madre e da un padre e, pur nelle prove generate dalla splendida e anche dolorosa fantasia della vita, a un padre e a una madre “ha diritto” di stare accanto o almeno di poter risalire. Grazie, dunque, alle due gentili interlocutrici. E che questo stile sia contagioso. C’è un’altra (e non ideologica) via al dibattito e alle necessarie scelte “per” la famiglia. Sogno politici che sappiano imboccarla e percorrerla con concreta saggezza.