Vorremmo poter dire che i 375 milioni di elettori che tra oggi e domenica sono chiamati alle urne in ben ventisette Paesi avranno in testa soprattutto l’Europa e il destino del gran cantiere dell’Unione, ma sappiamo che non è così. E nei giorni scorsi, su queste pagine, siamo tornati a segnalarlo. Con realismo, e una buona dose d’amarezza, abbiamo dovuto constatare che i cittadini europei voteranno – se voteranno – per il Parlamento di Strasburgo pensando soprattutto alle rispettive situazioni nazionali e alle scelte (o alle non-scelte) dei propri governi. Voteranno – se voteranno, e tanti in tutto il continente sembrano purtroppo intenzionati a non farlo – presi dalle preoccupazioni di chi vive nel giorno per giorno le conseguenze della crisi economica e finanziaria mondiale e neanche stavolta è riuscito a sentire come decisiva (o anche solo importante) la presenza e l’azione della Ue. Questa chiamata alle urne rischia, insomma, di diventare un’altra occasione largamente mancata nel processo di costruzione della casa comune dei popoli europei.E di ridursi a una piccola festa degli euroscettici, oltreché a una gragnuola di 'sondaggi' a uso politico interno. Test sulla popolarità o anche solo sulla tenuta elettorale di leadership, squadre ministeriali e formazioni politiche. Controprove sull’efficacia di attività di governo e d’opposizione. Verifiche sullo stato di salute (e sulle gerarchie interne) delle coalizioni di partiti. Documentazioni del reale impatto sull’opinione pubblica di «scandali», «complotti» e « gaffe » . Il voto europeo minaccia di essere un po’ di tutto questo e, dunque, di risultare alla fine quasi irriconoscibile. E sbaglierebbe di grosso chi ritenesse che il rischio di un simile deragliamento sia più forte in Italia che in Gran Bretagna o nell’Est europeo o in Spagna o nella stessa Germania... Ma è certo che anche in Italia l’«eurosondaggio» è ormai indetto: nessun leader e nessun partito vi si può più sottrarre, e probabilmente neanche chi è deciso a dire la sua nelle urne. Da elettori europei torniamo, però, ad avere una possibilità che abbiamo reimparato ad apprezzare nei quindici anni in cui ci è stata negata nelle elezioni politiche nazionali: il voto di preferenza, cioè non l’obbligo di mettere il fatidico 'segno' su un candidato unico o una lista bloccata, ma la libertà di scegliere il nome (e la storia) di uomini e donne che riteniamo ci possano rappresentare in modo degno e responsabile. Una libertà doppiamente preziosa, e forse addirittura la leva capace di ri-capovolgere il senso della consultazione europea, ripristinando almeno una parte del suo significato originario. L’Europa che spesso sentiamo lontana e che, a volte, ci sembra un’imbarazzante astrazione, esercita un potere diretto e sempre più pervasivo sulla vita delle nostre comunità. Da Bruxelles e da Strasburgo arrivano decine e decine di « direttive » che cambiano, uniformandole, le legislazioni nazionali, piovono decisioni che orientano la distribuzione di risorse e lo sviluppo delle più diverse attività, fioccano indicazioni, raccomandazioni, rapporti, denunce e richiami che hanno l’ambizione di pesare sui processi politici e sociali dei singoli Paesi membri dell’Unione. È perciò importantissimo selezionare bene chi manderemo nell’emiciclo e nelle commissioni dell’Europarlamento per lavorare in nome e per conto nostro (e non usiamo a caso il verbo «lavorare», visto lo scandaloso tasso di assenteismo che ancora si registra tra i rappresentanti italiani...). Ed è essenziale che nello scegliere – noi che abbiamo a cuore il primato della persona umana e i valori « non negoziabili » che ne discendono (il rispetto della vita in ogni sua fase, il sostegno alla famiglia, la libertà educativa) – sappiamo guardare non solo alle ideeforza sbandierate dai partiti, ma alla qualità dei candidati e alla coerenza tra i loro affermati ideali di riferimento e l’azione politica concretamente svolta. Votiamo le persone, allora. Votiamo per le loro idee nella misura in cui sono anche nostre. E non parteciperemo solo a un grande sondaggio.