La notizia è arrivata secca: proprio mentre "la crisi greca" sembrava stesse per registrare una svolta positiva (buon collocamento dell’emissione internazionale di titoli di Stato, disponibilità del Fondo monetario internazionale a venire in aiuto, probabile varo del programma per ridurre il deficit dal 13% del Pil nel 2009 al 9% nel 2010 fino a meno del 3% entro il 2012), il Commissario europeo agli Affari Economici e Finanziari, Olli Rehn, ha annunciato che porterà alla riunione di oggi dell’esecutivo Ue un primo schema di proposta per l’istituzione di un Fondo monetario europeo «destinato a sostenere quei Paesi, come la Grecia, duramente colpiti dalla crisi globale».La proposta e il modo in cui è stata presentata sono tali da lasciare perplessi. In primo luogo, l’intervista concessa dal Commissario a un quotidiano tedesco a mercati aperti non può non indurre a pensare che, oltre alla Repubblica Ellenica, ci siano altri Paesi dell’Unione monetaria a un rischio tale d’insolvenza da richiedere interventi straordinari. Sospetto che non può non innervosire i mercati e complicare ulteriormente qualsiasi
exit strategy si voglia adottare. Ma se la situazione fosse davvero questa, sarebbe bene che la Commissione mostrasse le carte, perché il cenno all’esigenza di misure "fuori dall’ordinario" non può che ingenerare incertezza.In secondo luogo occorre chiedersi perché nell’area dell’euro le intese tra Banche centrali nazionali, coordinate dalla Banca centrale europea (Bce), non sarebbero adeguate a fare fronte alle necessità di Paesi che si trovassero in temporanea difficoltà. Gli accordi europei di cambio (in linguaggio giornalistico, lo Sme) hanno retto a circa vent’anni di prove cedendo soltanto una volta (nel settembre 1992). Le paratie dell’unione monetaria sono state allestite allo scopo di essere ancora più solide di quelle del vecchio Sme. Se non lo fossero, i Presidenti della Bce, Jean-Claude Trichet, e dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker (non un commissario, per quanto autorevole), dovrebbero dirlo a chiare note.In terzo luogo, la comunità internazionale ha triplicato le risorse del Fmi (l’Italia ha appena pagato quanto dovuto) da destinare a interventi di soccorso. La creazione di Fondi monetari regionali potrebbe invece aprire la porta alla frammentazione dell’economia mondiale, a protezionismi, a (futuri) scontri tra "Fortezza Europa", "Fortezza Asia", "Fortezza Usa", una prospettiva da evitare. Certo, l’idea del Fondo europeo rappresenterebbe un male minore, rispetto a quella enunciata dallo stesso Rehn la settimana scorsa di creare un "pronto intervento" da parte di istituti pubblici come la Caisse Central de Dépôts et Consignations, la Kreditanstalt für Wiederaufbau e la nostra Cassa Depositi e Prestiti, distogliendoli dalle loro ragioni sociali (mutui agli enti locali, supporto a investimenti a lungo termine in infrastrutture, ambiente, innovazione). Ma si rischia comunque di creare più problemi di quanti se ne vogliono risolvere.A questo punto sorge un dubbio. Si tratta soltanto di una questione di immagine – sventolare alto il vessillo dell’Ue e dell’unione monetaria – oppure, freudianamente, nei corridoi di Bruxelles serpeggia il rimorso di avere ammesso la Grecia nel club dell’euro, pur sapendo che non aveva le carte in regola per entrare e per restarci non disponendo di strumenti per la formulazione e l’attuazione di politiche economiche all’altezza del resto del sodalizio? E oggi, soprattutto, per non aver fatto nulla per accompagnarla ad attrezzarsi.