L'Europa e gli Usa non sono mai stati così lontani
venerdì 15 novembre 2024

Le due coste dell’Atlantico non sono mai state così lontane. È una distanza che si misura nettamente in queste ore, in cui sta per alzarsi il sipario su una nuova stagione politica. La sceneggiatura non potrebbe essere più diversa. Da una parte c’è l’Europa, che a giugno ha rinnovato il suo Parlamento a 27 Stati, e cinque mesi dopo fatica a imboccare una strada chiara in grado di garantirle un futuro all’altezza della sua storia: le capitali del Vecchio continente parlano ciascuna una lingua diversa e Bruxelles non riesce a fare sintesi, dilaniandosi in lotte fratricide tra socialisti e popolari. D’altro canto, tra Washington e Mar-a-Lago, la macchina organizzativa di Donald Trump sta sfruttando l’onda emotiva che ha riportato, a suon di consensi popolari, il tycoon alla Casa Bianca per riscrivere a tempo di record gli organigrammi della nuova amministrazione e insieme le regole della comunicazione politica. L’effetto è straniante: nei palazzi della Commissione sembra di assistere a liturgie del Novecento, con audizioni lunghe e meticolose, aspiranti vicepresidenti e commissari passati ai raggi x, trappole, ricatti e faide politiche, mentre negli Usa sta andando in scena un trailer cinematografico pieno di sorprese e colpi di scena, che procede a ritmi travolgenti. Speculari sono ovviamente gli stati d’animo trasmessi dalla classe dirigente: più paiono venire meno gli entusiasmi per la costruzione di un governo politico condiviso nel Vecchio continente, con l’asse franco-tedesco intristito e indebolito e un’identità sempre meno chiara, più la popolarità di un uomo controverso e del suo inquietante “alter ego” che sogna di portarci su Marte, si mostrano capaci di rilanciare la retorica del sogno americano e dell’età dell’oro, catturando e affascinando la maggioranza dell’opinione pubblica, di tutte le fasce di reddito, di tutte le fedi e di tutte le età. Finzione e realtà si mescolano, alla fine, in un domino in cui competenze, titoli e cursus honorum contano molto meno del tanto abusato story telling, che però premia e convince, tramutandosi da grido anti-establishment a proposta politica.

Proprio su questo punto si può ricavare una lezione nell’immediato, che ci fa dire che nulla è perduto. La democrazia ha i suoi tempi, che vanno rispettati, e proprio in una fase storica in cui l’assedio dei populismi si è fatto più evidente, avere strumenti efficaci di garanzia e persone in grado di assicurare il corretto funzionamento delle istituzioni resta un bene da tutelare. In questo senso rassicura di più la stretta di mano tra il presidente uscente Joe Biden e il nuovo inquilino della Casa Bianca che non l’affastellarsi di profili sui nuovi ministri in pectore dell’amministrazione Trump, su cui lo stesso partito repubblicano (o quel che ne resta, visto l’affermarsi del movimento “Maga”) esprime forti dubbi. In democrazia, anche in una democrazia in crisi, la forma è sostanza e in tal senso non possono essere cancellate le immagini di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Proprio perché debole e sfilacciata, l’Europa ha perciò ancora una grande possibilità: quella di dimostrare che una certa idea di Occidente, fatta di ascolto e partecipazione, di confronto e assunzione di responsabilità, non è al tramonto. Certo, deve tornare a essere un’idea popolare e smettere di apparire come un salotto aperto alle sole (e solite) élite. L’alt di Sergio Mattarella a Elon Musk e alle sue intrusioni nella vita del nostro Paese è stato in questo senso il segnale che il livello di guardia nella vecchia Ue rimane alto e che nessun contagio portato da un uomo solo al comando può funzionare. Un sistema in grado di farsi gli anticorpi giusti di fronte a un’emergenza è un sistema destinato a diventare più forte. E questo vale su entrambe le sponde dell’Oceano.


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