Caro direttore, è triste venire a sapere che proprio a pochi giorni dall’8 marzo, giornata internazionale delle donne, la Commissione europea ha deciso di ritirare la proposta di revisione della direttiva europea sui congedi di maternità. Ancora più triste è venire a sapere il motivo di questa decisione: l’ostruzionismo portato avanti da anni dal Consiglio dei ministri europei. I diritti delle donne fanno così la stessa fine delle altre 80 proposte finite sotto la scure della procedura Refit (Regulatory Fitness and Performance Programme) della Commissione europea, come le norme sullo smaltimento degli imballaggi e delle batterie. Noi del Gruppo dell’Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo riteniamo che sia inaccettabile. Il diritto al congedo di maternità è sancito da una direttiva europea che risale ormai al 1992, in base alla quale le donne hanno diritto a 14 settimane di congedo retribuito per la nascita di un figlio, due delle quali sono obbligatorie. Lo Stato deve assicurarsi che esse ricevano un compenso «appropriato» per la durata di questo periodo. Nel 2008, la Commissione europea ha proposto di rafforzare la legislazione vigente, estendendo la durata del periodo di congedo obbligatorio a sei settimane e quella del periodo complessivo a 18 settimane. L’obiettivo era far fronte in un colpo solo sia alla sfida demografica (il forte aumento della popolazione anziana in Europa) che a quella economica (l’Europa si è data l’obiettivo di portare l’occupazione femminile al 75% entro il 2020), nonché recepire le raccomandazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulla necessità di garantire la salute e la sicurezza delle lavoratrici incinte o allattanti sul posto di lavoro e di proteggerle dal licenziamento senza giusta causa. Nel 2010, poi, gli eurodeputati hanno adottato in prima lettura un testo ancora più ambizioso, che proponeva di estendere il periodo di maternità a 20 settimane, di riconoscere alla lavoratrice la retribuzione mensile piena e di includere anche il congedo di paternità. Si tratta di un’impostazione progressiva, che presuppone però l’evoluzione delle nostre società verso l’uguaglianza di genere. Su questo fronte, purtroppo, abbiamo ancora molto lavoro da fare. Il tasso di occupazione femminile è ancora molto inferiore al tasso di occupazione maschile. Il divario retributivo tra uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro (o un lavoro equivalente) si aggira intorno al 16%, mentre per le pensioni arriva addirittura al 39%. Inoltre le donne sono colpite più duramente dalla crisi in quanto solitamente svolgono lavori più precari degli uomini. Noi chiediamo maggiore flessibilità per le donne che si riaffacciano sul mercato del lavoro dopo una maternità; maggiore protezione per le lavoratrici incinte o allattanti sul posto di lavoro; e in generale una legislazione moderna che permetta sia alle madri che ai padri di prendersi cura dei loro neonati. Oggi un quarto dei Paesi che compongono l’Ue non offre il congedo di paternità. Meno dell’1% dei padri usufruisce di un periodo di congedo parentale. Permettere a entrambi i genitori di prendersi cura dei loro figli vuol dire investire nel futuro dell’Europa. Questa direttiva promuove la riconciliazione tra vita privata e vita professionale in quanto le donne non dovranno più scegliere tra la carriera e la maternità. È l’unica soluzione alla crisi demografica che minaccia i nostri regimi di protezione sociale. Vera Jourová, il primo commissario per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere in Europa, deve confrontarsi con una Commissione che è ancora composta per i due terzi da uomini. Da parte sua il Consiglio continua a ignorare la procedura democratica. È dal 2010 che si rifiuta di avviare un negoziato aperto con il Parlamento europeo per trovare un compromesso su questo tema. No, i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere non sono tossici. Smettetela di insultare i diritti delle donne e i cittadini europei, di entrambi i sessi, e restituite credibilità alle istituzioni europee assumendovi le vostre responsabilità politiche.
*Presidente del Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) al Parlamento europeo