Caro direttore, vorrei chiedere attraverso le pagine del giornale che lei guida un dibattito serio sulla fecondazione eterologa, non solo nel merito della questione, ma anche sulle modalità concrete in cui si sta organizzando un
non-confronto tra le parti politiche su di un tema così delicato... Sembra proprio che si stia facendo di tutto per evitare di affrontare nella sede propria, le aule parlamentari, una problematica che qualche anno fa invece ha impegnato in modo coraggioso, con accenti spesso vivaci, tutte le componenti politiche, nessuna esclusa. Ognuna ha potuto esprimere il proprio punto di vista, cercando margini di dialogo con gli altri e sottoponendo le proprie idee al vaglio della votazione. In questo momento, purtroppo, mi sembra che, ancora una volta, si stia lasciando alla magistratura l’onere di alcune decisioni di squisito profilo legislativo e si tenda ad aggirare il Parlamento anche su aspetti regolatori concreti, per esempio attraverso il documento tecnico predisposto della Conferenza Stato-Regioni. Insomma: non si può non prendere atto della velocità con cui si sta cercando di attivare una procedura, quella della fecondazione artificiale eterologa, che oggettivamente non rappresenta una priorità per il Paese, affetto da ben altri mali e toccato da ben altre urgenze. L’abituale prudenza con cui la Conferenza Stato-Regioni affronta le questioni che le vengono sottoposte impegna spesso tempi ben più lunghi di quelli utilizzati mercoledì per approvare le linee guida per la fecondazione eterologa. Si sono lette dichiarazioni e commenti di ogni tipo, spesso entusiastici su tali sviluppi. Credo che la superficiale sbrigatività di certe posizioni in tema di biopolitica e di famiglia sia criticabile tanto quanto certe forme di integralismo assoluto. Come 'Avvenire' non manca mai di ricordare, su questioni che toccano i grandi princìpi etici e sulle decisioni riguardanti la vita essere prudenti e non precipitosi è segno di saggezza. Questa volta dopo la sospensione del decreto Lorenzin, voluta dallo stesso presidente del Consiglio Renzi, che ha auspicato una iniziativa parlamentare per questioni così delicate, si sono subito mobilitate le Regioni. A cominciare dalla Toscana, seguita a ruota dall’Emilia Romagna, che hanno affermato di non voler attendere una legge
ad hoc, perché del tutto «inutile» per l’applicazione della fecondazione eterologa nei loro centri regionali. Toscana ed Emilia Romagna hanno fatto da capofila nel dibattito della Conferenza Stato-Regione e i criteri sottoscritti sono gli stessi proposti dalla Toscana, che ha immediatamente consentito al 'Careggi' di Firenze le prime visite necessarie per applicare il protocollo. Un ulteriore modo di scavalcare il Parlamento e, a mio avviso, quello di accantonare le legittime esigenze di una democrazia parlamentare che si sente spesso delegittimata non solo dalla decretazione d’urgenza, ma anche dalle sentenze della magistratura e ora dalle iniziative della conferenza Stato-Regioni. Non credo che sia possibile, e a ben vedere non credo neppure che sia lecito, tacere davanti a questa molteplicità di interventi che tendono a schiacciare il dibattito parlamentare tanto più urgente quando più delicate sono le questioni in esame. So bene che qualcuno ha cercato di rendere obsoleto il cencetto di «questioni eticamente sensibili», perché evoca diversità di opinioni e possibili conflittualità tra gli schieramenti e negli schieramenti. Ma è proprio questa diversità quella che conferisce valore a una autentica democrazia, che non accantona i problemi, ma li affronta permettendo a tutti di poter esporre il proprio punto di vista argomentando le proprie ragioni. Le recenti sentenze introducono di fatto cambiamenti molto forti nella cultura della vita e della famiglia e non si possono accettare senza aprire un confronto parlamentare chiaro e forte, su temi che vanno alla radice della vita del Paese. C’è una parte importante dell’opinione pubblica favorevole alla fecondazione eterologa e alle adozioni gay, perché vede in queste sentenze il riconoscimento di 'nuovi diritti'. Ma c’è anche un’ampia parte dell’opinione pubblica che nutre forti dubbi in tal senso e continua a credere che una famiglia esista e funzioni al meglio quando ci sono il padre e la madre. O, in ogni caso, pensa che sarebbe più utile semplificare le leggi sull’adozione o ancora venire incontro a quelle coppie che pur desiderando intensamente avere un figlio, non ne hanno i mezzi: a loro mancano casa e lavoro... Caro direttore, 'Avvenire' è da sempre sensibile a questi temi, le chiedo di aiutarci ad aprire il dibattito parlamentare ben sapendo che molti ne farebbero volentieri e meno, e serve coraggio per non sottrarsi al confronto, non si tratta solo di una questione eticamente sensibile, ma della stessa etica della politica! Grazie.