Un abbraccio grande e un discorso breve, quello riservato ieri da Papa Francesco al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Un saluto, del resto, doveva e voleva essere. E tale è stato, trattandosi di un gesto assai diverso dal tradizionale discorso 'istituzionale' che, ogni inizio d’anno, il Pontefice rivolge agli stessi interlocutori (Benedetto XVI lo aveva tenuto lo scorso 7 gennaio). Così si è realizzato quest’«abbraccio del Papa al mondo», come ha detto egli stesso, teso a incontrare attraverso gli ambasciatori «i vostri popoli» e a «raggiungere, in un certo senso, ciascuno dei vostri concittadini, con le sue gioie, i suoi drammi, le sue attese, i suoi desideri ». Pur in tale brevità, tuttavia, Francesco non ha rinunciato ad anticipare, più che lo scadenzario di un’essenziale agenda internazionale, le priorità e lo stile nel suo dialogo con il mondo.
Rispetto alle priorità, entro una più che significativa corrente di continuità con Benedetto XVI, Papa Bergoglio ha rimesso al centro la lotta, contro ogni forma di povertà. Povertà materiale, innanzitutto, che ancora per miliardi di persone è fatica quotidiana, lotta per la pura sopravvivenza; ma anche, e non in misura secondaria, povertà spirituale determinata dalla «dittatura del relativismo », quella sorta di desertificazione delle anime «che lascia ognuno come misura di se stesso» e, nella spirale degli egoismi che genera, finisce col mettere «in pericolo la convivenza tra gli uomini». Per contrastare tutto ciò, per Papa Francesco è indispensabile un dialogo capace di dipanarsi giorno per giorno, testardamente, senza lasciarsi vincere dallo scoramento. Un dialogo tra culture e religioni, che coinvolga anche i non credenti, e tra le culture e le religioni tra loro – l’islam in primo piano – , perché «non si possono costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio», così come «non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri».È questo il valore aggiunto che, per il Papa, porta alla costruzione della vera pace. Ed è questo il punto in cui il discorso circa le priorità di Francesco finisce con coniugarsi, e declinarsi, nello stile di un’essenzialità che, per lui, è irrinunciabile anche nell’economia delle relazioni tra gli Stati. Lo ha spiegato molto bene, quando, nel ribadire che «non vi è vera pace senza verità», di nuovo ha ammonito che «non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra». E sono ritornati, qui, il discorso sulle ragioni per le quali ha scelto il suo nome pontificale, la riflessione sul significato del custodire risuonato nell’omelia di inizio pontificato, l’apertura universale che deve – nella sua visione – portare a segnare sempre nuovi passi in direzione di un bene comune che è responsabilità di tutti.
Uno dei titoli del Vescovo di Roma, ha detto alla fine, è quello di Pontefice, «cioè – ha spiegato – colui che costruisce ponti ». Non è difficile immaginare che, nelle intenzioni di Papa Francesco, quei «ponti» possano arrivare fino a dove, ancora, non sono riusciti a giungere. Anzi, debbano arrivarci.