La risposta ai morsi della speculazione contro l’Italia alla fine è arrivata. Secca, subitanea. Per forza, più che per virtù, anche se è di virtù che avremmo bisogno. Nella certezza, soprattutto, che nessuno dei partner europei in grado di farlo ci avrebbe dato altrimenti una mano. E dinanzi alla prova provata (incisa a fuoco nei listini dei mercati, nell’ormai mitico
spread tra Btp e Bund tedeschi, nella crescente magrezza dei bilanci domestici delle famiglie italiane) che gli errori – e i peccati di omissione – accumulati negli ultimi dieci anni nella gestione del nostro debito pubblico ne hanno ormai reso insostenibile il peso. Troppo a lungo quel macigno sul futuro di tutti è stato trattato come un relitto della Prima Repubblica, come la fastidiosa colpa di chi politicamente non c’era più e non come uno dei compiti più stringenti dell’attuale classe dirigente.Anche per questo c’è poco da applaudire, oggi, davanti a una mossa coraggiosa e giusta perché inevitabile. L’accelerazione delle grandi manovre di “taglio” per ottenere il pareggio di bilancio annunciata dal premier Berlusconi e dal ministro Tremonti è, infatti, un atto purtroppo dovuto, non una festa. È la scelta di spingerci tutti più dentro quella stagione “lacrime e sangue” che è già cominciata nella vita concreta degli italiani e che sarà necessario accompagnare con una limpida capacità di spiegare – soprattutto con dedizione, rinunce e altri convincenti esempi da parte di chi ci governa e rappresenta – a un’opinione pubblica impaurita e adirata. Gli italiani, come amava dire l’allora presidente Ciampi, sanno rispondere con slancio quando si fa loro capire per che cosa ci si sacrifica e qual è il «bene comune» da tutelare o da conseguire secondo giustizia. Noi ne siamo convinti, ma vogliamo esserlo di più. Ci si concentri su questo, sul cesellare i tagli, sul “fabbricare lavoro” e su un nuovo fisco amico delle famiglia, piuttosto che sulle favole ambigue come quella della presunta forza risolutiva della riforma all’insegna del “vietato vietare” dell’articolo 41 della Costituzione (sui doveri sociali della libera impresa). Non ci serve altro fumo iperliberista negli occhi, basta e avanza quello dei roghi appiccati in questa estate di barbare scorribande speculative sui mercati di tutto il mondo.