martedì 6 luglio 2010
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La decisione di Aldo Brancher di rinunciare alla carica ministeriale, condivisa da Silvio Berlusconi, pone termine, almeno sul piano parlamentare, a una vicenda incresciosa, che tra l’altro ha messo una persona dalla proverbiale riservatezza al centro di un’offensiva concentrica (peraltro motivata da un proprio errore marchiano). In questa circostanza, Berlusconi ha scelto la ritirata, il che non significa che sia sull’orlo del fallimento politico. Carl von Clausewitz nel suo famoso trattato Della guerra sottolineava che non è buon stratega chi non conosce l’arte della ritirata. Anche su altre partite probabilmente sarà necessario arrivare a mediazioni e compromessi, a cominciare da quelle legate alla manovra per tenere sotto controllo la spesa pubblica. A quanto pare, le osservazioni critiche avanzate dalle organizzazioni imprenditoriali su fiscalità e energie rinnovabili sono già state affrontate (e accolte) nell’incontro di ieri sera tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia. Era già stato declassato a "refuso", e quindi abbandonato, il proposito di adeguare all’evoluzione demografica, oltre all’età dalla quale si percepisce quella di vecchiaia, anche la pensione di anzianità con i 40 anni di contributi. Restano altri temi, dalla ripartizione dei sacrifici tra le amministrazioni centrali e quelle territoriali a una disciplina dell’invalidità che, pur eliminando la piaga delle pensioni ottenute senza requisiti, non penalizzi chi si trova effettivamente in condizioni di svantaggio. In una manovra complessa e che interviene in un ventaglio assai ampio di situazioni, non c’è da scandalizzarsi se su qualche punto si innesta la retromarcia. In fondo, fin dall’inizio si era detto che sarebbero stati esaminati senza pregiudiziali i suggerimenti considerati compatibili con l’esito richiesto di contenimento globale della spesa. L’impressione di sfilacciamento definitivo della maggioranza e del governo, sulla quale comprensibilmente insistono le opposizioni, per quanto accreditata dal modo piuttosto confuso con cui vengono affrontati i temi più spinosi dell’agenda politica, appare però, almeno per ora, non tale da sfociare in una vera crisi. La delicatezza della situazione internazionale, che farebbe pagare caro agli italiani un periodo di instabilità politica, è ben chiara a tutti, a cominciare dal presidente della Repubblica. Egli sicuramente non vuole essere protagonista di fasi traumatiche, che ha sempre cercato di evitare predicando invece la più ampia assunzione di responsabilità. Ciò non significa che le tensioni e le crepe che si vanno facendo sempre più vistose nella maggioranza siano destinate a ricomporsi spontaneamente. La situazione di difficoltà nell’economia – attenuata ma ancora lontana dal tradursi in un miglioramento delle condizioni sociali e soprattutto della disoccupazione – sommata a problemi istituzionali che si trascinano da decenni senza soluzione, rende assai complessa l’azione di governo che, proprio per questo, deve essere condotta con il massimo di disponibilità all’ascolto e al confronto e, dove necessario, anche al ripensamento.
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