Francesco, Marco e ancora Maria, Silviu, Mohamed e Irina... Se mettessimo in fila i nomi delle persone che sono morte sul lavoro lo scorso anno, forse non basterebbe questa pagina per comporne la lapide in maniera degna. E certo non sarebbe sufficiente l’intero giornale a raccontare lo sconvolgimento che ognuna di queste morti porta nelle famiglie. Lasciando vedove sole, bambini che non rivedranno più i padri, genitori straziati dalla perdita di un figlio che si era appena "sistemato" trovando un posto. O che magari provvedeva a loro da lontano, che anche per questo aveva attraversato il mare rischiando la vita una prima volta. Perciò lo facciamo sommessamente, senza eccedere in trionfalismi, né illuderci eccessivamente. Ma dicendolo finalmente: gli incidenti mortali sul lavoro stanno calando in maniera significativa.Questo testimoniano i dati del rapporto Inail sul 2010 presentato ieri. Per la prima volta dal Dopoguerra, infatti, le vittime del lavoro sono state meno di mille. Per la precisione 980, in calo del 6,9% rispetto ai 1.035 del 2009. In diminuzione anche gli infortuni da 790mila a 775mila (-1,9%), ai quali l’istituto stima si debbano aggiungere circa 165mila incidenti non denunciati, perché occorsi a lavoratori in nero. In calo sono tutte le modalità degli eventi: -6,6% gli infortuni avvenuti negli ambienti di lavoro propri, -3,9% gli incidenti relativi agli autotrasportatori, -10,9% pure gli infortuni
in itinere, quelli che accadono sulla strada da e verso il luogo di lavoro. È vero, nel 2010, nonostante i primi segni di ripresa, il numero degli occupati risultava ancora inferiore a quello del 2008. Ed erano centinaia di migliaia i dipendenti in cassa integrazione, dunque non esposti ai rischi della produzione. E perciò fondamentale sarà leggere tra un anno il consuntivo del 2011 per capire quanto ha inciso la crisi economica e quanto invece il cambiamento sia effettivo, si possa considerare consolidato.C’è però un dato di prospettiva che fa riflettere e che giustifica quantomeno l’ottimismo della volontà. In dieci anni gli infortuni sono diminuiti di quasi il 30% e i casi mortali sono scesi da oltre 1.400 a meno di mille, appunto. Siamo ormai ben al di sotto della media europea come indice di infortuni sugli occupati. Se il trend positivo rimanesse costante, potremmo tra un lustro arrivare quasi a dimezzare le vittime rispetto a quelle del 2001. Sarebbero ancora tante, tantissime. Troppe indubbiamente. Sempre meno, però, grazie a una serie di fattori che stanno dimostrando di funzionare. Anzitutto una legislazione divenuta sì più pesante e "costosa" ma che dal Testo unico in poi ha prodotto risultati tangibili. E ancora, il valore deterrente dell’effettività delle sanzioni, testimoniata sia dalla sospensione delle attività di cantieri e fabbriche quando vengono riscontrate irregolarità, sia dallo svolgimento dei grandi processi come per ThyssenKrupp, Eternit e Saras. Senza dimenticare l’opera di prevenzione e controllo svolta dall’Inail, dal ministero del Lavoro e dalle parti sociali che hanno promosso protocolli e campagne mirate. Fino ad arrivare – non come ultimo fattore, però – a una maggiore coscienza del rischio, che sembra caratterizzare oggi singoli imprenditori e lavoratori nonché la società nel suo complesso. Non c’è legge per quanto severa, non c’è dispositivo tecnico per quanto avanzato né controllo massivo, infatti, che possano sostituire la responsabilità personale dell’uomo. Quando organizza l’attività altrui e quando opera in prima persona. Una drastica riduzione delle morti sul lavoro non può che passare da qui: da una ritrovata coscienza del valore della vita, della sua inviolabile dignità, della sua preminenza. Sempre.Questo vorremmo scrivere sull’ideale lapide coi 980 nomi, che oggi ancora piangiamo.