Il rischio è che, stavolta, la toppa crei un buco. Nella "quantità" della manovra-bis d’agosto e per la "qualità" di alcune abbozzate correzioni. Il cosiddetto patto di Arcore, che ha ridisegnato l’intervento di finanza pubblica, infatti, pare aver convinto pochi, scontentato tanti e allarmato ed esacerbato ancora più italiani.Anche i mercati non hanno festeggiato, anzi. Lo
spread sui Btp ieri era tornato sopra i 300 punti e solo gli acquisti da parte della Bce hanno limitato i danni. I dubbi riguardano sia i saldi finali, rispetto ai quali difetta la necessaria certezza, sia la mancanza di provvedimenti utili a stimolare la crescita economica, come hanno poi sottolineato, in audizione, la Banca d’Italia e la Corte dei conti. Ma soprattutto nel Paese si è subito levata un’ondata di protesta per le modifiche al regime pensionistico e tra i lavoratori pubblici anche per la persistenza del contributo di solidarietà e delle altre misure che mettono a rischio la tredicesima e i salari.La scelta di scorporare gli anni del servizio militare e quelli del corso di laurea dal computo dei 40 anni per accedere alla pensione di anzianità possiede una sua logica. Perché attualmente è possibile "eludere" il requisito minimo dell’età anagrafica – oggi a 61 anni e in progressivo aumento in base alle riforme passate – andando in pensione anche a 58 anni con 35 anni di lavoro effettivo, 4 di laurea e 1 di militare. Ma per operare questa (relativa) correzione si è finito per mettere in dubbio per l’ennesima volta il rapporto tra Stato e cittadino, cambiando unilateralmente i termini di un contratto con il quale il dipendente aveva riscattato quegli anni, pagandone i relativi contributi e acquisendo una serie di diritti. Una norma quindi dalla dubbia legittimità, che potrebbe dar vita a un vasto contenzioso giudiziario. E che bloccherebbe all’ultimo minuto la quiescenza di qualche migliaio di lavoratori, costretti a restare nelle aziende (sempre che non siano già in mobilità) ancora da un minimo di 1 fino a 4-5 anni per l’accavallarsi di nuovi limiti, finestre mobili e provvedimenti via via accumulatisi. Insomma, anziché riformare strutturalmente la previdenza per innalzare l’età pensionabile in maniera graduale (come pure sarebbe necessario e naturale, visto l’allungamento della vita media) si è operato – in emergenza e, a quanto si intuisce, senza valutare a pieno le conseguenze – per "tappare" il buco creato dalla cancellazione del contributo di solidarietà inizialmente previsto a carico dei contribuenti sopra i 90 o i 150mila euro di reddito.Quest’ultima misura – ora limitata ai dipendenti pubblici e ai pensionati, quasi dovessero scontare un qualche "peccato" sociale – aveva in realtà ragioni di esistere per la generalità dei contribuenti. Il prelievo straordinario andava semplicemente corretto e reso equo, da un lato affiancandolo con una più stringente lotta all’evasione (le misure adottate ora sulle società di comodo sono positive, ma ancora aleatorie) e dall’altro attenuandone gli effetti per chi ha carichi familiari, grazie a meccanismi tarati sul "fattore famiglia". Il fatto che, invece, si sia cancellata la norma piuttosto che introdurre il correttivo dei carichi familiari sembra confermare, purtroppo, un’inspiegabile titubanza a dare finalmente cittadinanza fiscale solida e piena alla famiglia e getta ombre sulla via della riforma fiscale. Una riforma che imporrà scelte, riconoscimenti e azioni (di contrasto all’evasione e di premio ai contribuenti onesti) che si attendono da tempo e che giocheranno un ruolo assai importante per il futuro del Paese.Le note positive vengono da un maggiore impegno per la riduzione dei costi della politica. L’abolizione totale delle Province e il dimezzamento dei parlamentari vanno nella direzione auspicata, anche se i tempi tecnici dell’approvazione della relativa legge costituzionale (e gli effettivi risparmi che sarà possibile conseguire) restano imprecisati. La diminuzione dei tagli ipotizzati per gli enti locali darà un po’ di respiro agli stessi, che restano, comunque, al bivio tra l’aumento del prelievo fiscale locale e la riduzione dei servizi sociali. Mentre la nuova riduzione delle agevolazioni fiscali sugli utili che le cooperative reinvestono nell’impresa finirà per penalizzare, anziché promuovere, un segmento di mercato che anche durante la crisi ha garantito una crescita di occupati.La preoccupazione di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani» in modo diretto si sta rivelando una consigliera infida. Le mani si possono mettere in modo obliquo. E il risultato, come si vede, non è ancora equo ed è altrettanto pesante.