Da oggi, in Italia tutti hanno un grattacapo in più, dopo il rialzo dei tassi deciso dalla Banca centrale europea. Il ministro dell’Economia per il 2011 dovrà collocare sul mercato titoli non per 240 miliardi di euro (cifra già da far paura) ma almeno per 260 miliardi. Per comprare le obbligazioni, infatti, banche e risparmiatori pretenderanno un prezzo più alto di quello che avrebbero chiesto ieri mattina. Le imprese, che hanno crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni pari al 6% del Pil, avranno maggiori difficoltà a finanziare i loro programmi di espansione o anche solo per reggere in un mercato interno che dal 2007 ad oggi si è contratto di circa sei punti percentuali. Sarà anche più arduo operare all’estero a ragione del rialzo del cambio dell’euro sul dollaro. Le famiglie il cui debito medio si aggira sui 24.000 euro, dovranno fare fronte a rate più alte di mutui e prestiti, se contratti a tassi flessibili. Coloro che cercano di vendere casa faranno fatica a trovare acquirenti a ragione del rialzo del costo dei mutui. Il commercio in generale che, dopo saldi tiepidi, dovrà prepararsi a un nuovo grande freddo. Tutto ciò potrebbe comportare di smorzare i flebili segnali di ripresa e tornare ad un andamento del Pil rasoterra quando non negativo. Con conseguenze gravi per l’occupazione.Preparato da una strategia di comunicazione molto efficace, il Consiglio della Bce ha infatti aumentato della 0,25 % il proprio tasso "direttore", quello che incide su tutti gli altri tassi d’interesse sino a quelli che finiscono per interessare direttamente le tasche di imprenditori e consumatori. È una mossa eloquente: il cambiamento di rotta, da una politica monetaria "accomodante" a una "restrittiva" effettuato non solo per una ragione "formale" – l’incremento dei prezzi nell’eurozona supera quel 2% definito, negli statuti dell’istituto, come il livello di soglia oltre il quale occorre intervenire – ma anche e soprattutto in quanto alcuni Stati dell’eurozona temono gli effetti inflazionistici del quadro internazionale. A Francoforte si auspica che a Washington (dove ha sede la Federal Reserve) si prenda esempio dall’Europa. Tuttavia, a differenza di quelli della Bce, gli statuti delle autorità monetarie Usa pongono come obiettivo della politica della moneta non solo la stabilità dei prezzi, ma anche l’occupazione dei fattori produttivi. E oggi negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione viaggia verso il 10% della forza lavoro. Proprio dall’altra parte dell’Atlantico, inoltre, si sono levate voci autorevoli contro le ipotesi di aumento dei tassi da parte della Bce. Fra gli altri, Bradford Delong, ex vice-segretario al Tesoro Usa e ora professore di economia all’Università della California a Berkeley, si è chiesto «perché gli europei vogliono farsi male da soli». Tra l’altro infatti il dollaro si deprezzerà ulteriormente rispetto all’euro, rendendo più difficili le nostre esportazioni.I rappresentanti dell’Italia in seno alla Bce o sono d’accordo con i loro colleghi o non hanno saputo fare udire la loro voce. Dopo un "patto per l’euro" che si presenta molto pesante per Paesi come l’Italia, e proprio mentre il Portogallo rischia di affogare, occorrerebbe preoccuparsi non di tattica – come frenare un aumento dei prezzi che di poco supera il 2% (siamo al 2,3) – ma di strategia. Occorre chiedersi se un "tasso d’interesse di base per tutti" è sensato. Un economista tedesco noto per il suo rigore, Rainer Willi Maurer, ha di recente dimostrato come la crisi del debito sovrano nell’eurozona sia il risultato d’un errore di fondo nella costruzione dell’unione monetaria: le divergenze tra tassi effettivi comportano una spirale del debito sovrano nei Paesi più deboli. Ci vorrebbero «strategie monetarie specifiche» per ciascun Paese. Ma ciò presupporrebbe un’unione monetaria differente da quella che si è cercato di fondare a Maastricht.