domenica 8 agosto 2010
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Spigliato, mingherlino, aveva da sempre svolto il mestiere di ambulante abusivo. Girava la  Campania e il Basso Lazio con due grosse borse stracolme di calzini e altri indumenti intimi, reclutando i clienti tra le fasce meno abbienti della popolazione. Giunto in un paese, sperava innanzitutto di non imbattersi in vigili urbani troppo zelanti e scrupolosi, che lo avrebbero multato e gli avrebbero ordinato di sgombrare.La merce, proveniente dalla Cina, era di scarsissima qualità e di poco prezzo, ma Enzo riusciva, anche se non sempre, ad assicurare in questo modo il pane ai figli. Quando il guadagno scarseggiava, Rosaria, la moglie, bussava a certe porte, sempre le stesse, che conosceva bene, e chiedeva un prestito. Piccole somme prese a usura, che lievitavano tantissimo, se non restituite in tempo. Arrivò in parrocchia a Natale dell’anno scorso e tirò un sospiro di sollievo. I debiti contratti gli furono azzerati e gli venne assicurato un piccolo aiuto a scadenze quasi fisse. La crisi economica, per lui e i suoi colleghi, è stata micidiale. Negli ultimi tempi, per quanto si desse un gran da fare, la merce restava invenduta nei borsoni e la sera faceva ritorno a casa triste e a mani vuote. I figli, intanto, erano diventati cinque. Mai un aborto procurato e a spese dello Stato, ma cinque stupende vite, questi genitori hanno regalato mondo. Intanto continuavano a cercare un’occupazione più dignitosa e redditizia. Dai servizi sociali – da queste parti pigri e negligenti – mai gli giunse un minimo contributo. Anche sulle rispettive famiglie d’origine non potevano contare: come loro, anch’esse versano in condizioni di estremo disagio. Questa cara famigliola passò ben presto dalla povertà alla miseria ed Enzo cadde in un pietoso stato depressivo: si incupiva sempre più, fino a chiudersi in un totale mutismo. Una mano invisibile e cattiva venne a bendargli gli occhi e le sue notti insonni si affollarono di fantasmi che si rincorrevano sprezzanti per la casa. Per la sua coraggiosa signora, alle tante battaglie giornaliere, se ne aggiunse un’altra ben più difficile: aiutare il marito a lottare per sperare ancora. Ieri Enzo è tornato in parrocchia. Stringeva tra le mani un sacchetto di plastica con dentro qualche indumento intimo, un asciugamano, un pantalone. La faccia smunta, la barba trascurata, gli occhi affossati dicevano chiaramente che aveva trascorso la notte a interrogare il cielo senza ricevere risposta. «Me ne vado, padre», mi ha detto venendomi vicino. «Dove?». «A Napoli». «A fare che? Hai trovato lavoro in città?», gli ho chiesto fiducioso. «No, non ho trovato niente, ma vado via di casa...».Poi, con lo sguardo fisso a terra e le labbra che tremavano: «Vado alla stazione centrale a stare con i barboni...», ha farfugliato, allontanandosi. In serata, disperata, è giunta anche Rosaria: «Enzo ci ha lasciati, padre, è andato via di casa, ma non ha voluto dire dove. Da tempo non faceva che ripetere che è un fallito, l’ultimo degli uomini, che ha vergogna a guardare negli occhi i figli non potendogli procurare nemmeno da mangiare...». Quest’uomo di buona volontà, italiano come noi, disoccupato e triste, non ha compiuto ancora quaranta anni. Purtroppo, non è il solo che la nostra cara patria lascia indietro nel cammino della vita, pur sapendo che da essi potrebbe ricevere tantissimo qualora fossero aiutati. Da domani Napoli avrà un giovane barbone in più a intristire le sue strade vagando senza meta, mentre cinque ragazzini piangono per riaverlo a casa. Rosaria ha paura, teme il peggio, non sa darsi pace. Non riesce a immaginare dove suo marito trascorrerà le notti, ed io ancora non trovo il coraggio per farglielo sapere.
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