Almeno un primo effetto, la Risoluzione 1973 dell’Onu che autorizza gli Stati membri a ricorrere alla forza per porre fine alla guerra dichiarata da Gheddafi al suo popolo sembra averlo già ottenuto: il raìs avrebbe proclamato una tregua e smesso di bombardare i suoi stessi cittadini. Può darsi che ciò si traduca in uno stallo più o meno prolungato, durante il quale l’isolamento internazionale del colonnello e del suo regime, potranno generare frutti. Ma può anche darsi che tutto si riduca a un bluff e che l’azione militare si renda necessaria.I rischi di una simile mossa erano elevati una settimana fa e restano tali oggi. Ma quello che è radicalmente cambiato è lo scenario all’interno del quale tale mossa si inscrive e che la rende oggi, non solo opportuna, ma persino necessaria. Il maggiore cambiamento legale intervenuto è stato, evidentemente, l’adozione della Risoluzione Onu. Essa conferisce un quadro di legalità internazionale a un’azione militare, al punto che persino il regime libico sostiene tartufescamente di essere costretto ad adeguarsi alla richiesta di cessate il fuoco «essendo la Libia membro delle Nazioni Unite». Ma c’è un altro l’elemento di rilevanza straordinaria che si è verificato in questi giorni (e che ha consentito al Consiglio di Sicurezza di muoversi su formale proposta del Libano), e cioè la richiesta di un intervento militare occidentale da parte della Lega araba. Così facendo, essa ha posto l’aggressione del colonnello Gheddafi contro il suo popolo sullo stesso piano dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990. È un fatto clamoroso per due motivi. In primo luogo, perché per la prima volta un’istituzione internazionale politicamente debole come la Lega araba si assume la responsabilità tutta politica di affermare che quando la repressione interna valica certi limiti diventa inaccettabile. In secondo luogo, perché essa pone fine a quella paura occidentale di interferire in quel che sta accadendo a sud del Mediterraneo che rappresenta insieme un alibi e un tabù per i governi dell’Occidente.Nel chiedere aiuto all’Occidente – perché di questo si tratta – la Lega araba ci ricorda che il mondo è ancora uno, e ci rammenta che di fronte a una simile richiesta la non interferenza equivarrebbe a una complicità. È questo che ci consente di riallacciare un discorso politico tra le due sponde del Mediterraneo che l’avvio inatteso delle rivoluzioni, la loro evoluzione imprevista e le nostre paure ci avevano fatto compiutamente interrompere. In termini di scenario più complessivo, quello che appare evidente è che per la comunità internazionale – per l’Occidente che al suo interno continua a pesare parecchio e per l’Italia che nel Mediterraneo è immersa – la sopravvivenza politica di Gheddafi rappresenterebbe il male peggiore per diversi motivi.In termini di principio, a livello di comunità internazionale, perché attesterebbe che la violenza paga sempre, a condizione di essere usata senza remore di nessun tipo. In termini più politici, a livello occidentale ed europeo, perché la nostra passività non sarebbe percepita come benevola da parte di un Gheddafi vittorioso, mentre sarebbe considerata complice indifferenza dagli insorti sconfitti, parte dei quali potrebbe cadere vittima della fascinazione qaedista. Così che potremmo ritrovarci bersaglio di azioni ostili sia ad opera di Gheddafi sia per mano di quei suoi nemici che la nostra ignavia avrebbe trasformato anche in nostri nemici. A livello nazionale, infine, perché se Gheddafi dovesse malauguratamente vincere, per non perdere la faccia dovrebbe per forza colpire gli interessi economici, di sicurezza e – mi si passi la forzatura – "migratori" di chi sarebbe più vulnerabile rispetto alle sue ritorsioni, cioè l’Italia. Nessuna timidezza farà di Gheddafi nuovamente un possibile socio d’affari, mentre solo la partecipazione convinta alle azioni che si dovessero rendere necessarie potrà collocare l’Italia tra i Paesi cui la nuova Libia sarà riconoscente: unica garanzia realisticamente possibile per la tutela dei nostri cospicui interessi oltremare.