«Avrei voluto che tu mi avessi protetto, come fanno tutte le mamme». Perché è questo che ci si aspetta, da una madre: che non ti affidi, a sei anni, a un padre che ti vende ad altri uomini. Che non ti dipinga le unghie prima di consegnarti all’orco. Che non finga di non sentire quando dici con le lacrime agli occhi che non vuoi più stare in quella baracca con il papà e gli altri. Stefan l’ha scritto in una lettera che i giudici hanno accluso alle motivazioni della sentenza contro i genitori-aguzzini, e che ieri
Avvenire ha riportato nelle pagine di cronaca milanese. Lui è un ragazzino rom di 13 anni; sette anni fa è stato raccolto davanti a un semaforo, vestito da femmina, e portato in una comunità di accoglienza, dove però padre e madre l’hanno rapito un anno dopo. Stefan era roba loro, la fonte di reddito, come privarsene? Nei giorni scorsi a Milano si è concluso il processo e i due sono stati condannati a 18 anni di carcere e a 150 mila euro di penale per aver annientato l’infanzia del figlio. Quasi il massimo della pena, perché, anche grazie ai racconti di Stefan affidati a un diario, i giudici hanno considerato «gli effetti devastanti» causati, «forse irrimediabilmente», al piccolo. Nella sua lettera Stefan annuncia ai genitori che è stato adottato, e proprio per questo ha trovato il coraggio di mettere nero su bianco le «cose che mi avete fatto e che a un bambino non bisogna fare». Ecco, allora, il miracolo. Un’altra mamma e un altro papà – supportati negli anni da educatori e psicologi – hanno fatto capire a Stefan che non era lui il colpevole. Che non era lui a dover uscire con una maschera sul viso per la vergogna, come chiedeva agli educatori quando viveva in comunità. Che non è lui, oggi, a doversi sentire un mostro di fronte alla nuova famiglia che lo chiama figlio. Che sono altri i responsabili e più di tutti quella madre che non l’ha difeso quando era più vulnerabile. Un’adozione complicata, coraggiosa, quella di Stefan. I genitori biologici hanno gettato alle ortiche la sua infanzia, la sua innocenza, disprezzando e calpestando tutto ciò che c’è di puro in un bambino. Causando in lui «danni forse irrimediabili», attacchi d’ansia e paura di stare in mezzo agli altri. Due altri genitori hanno raccolto il testimone di quella responsabilità non assolta e da quell’orrore cercheranno di fare germogliare qualcosa di buono. Un’adozione autentica, a completo, totale, servizio di Stefan: perché non sarà facile convincerlo che una famiglia è un’altra cosa da quella che ha sperimentato nei suoi primi anni di vita. Ci saranno pianti da consolare, di notte, e incubi da dissipare. Ma in quella lettera c’è la chiave della rinascita di Stefan. Nel suo dito puntato contro la madre, nel suo sconvolgente atto di accusa, c’è anche la consapevolezza di un’altra storia possibile. Stefan, oggi, sa che cosa fa di solito una mamma. Gliel’hanno spiegato gli psicologi e gli assistenti sociali, ma soprattutto lo sta vivendo con i suoi nuovi genitori, nella nuova casa dove non ci sono smalti per unghie né giochi sordidi. Forse, allora, i danni causati da quei due genitori criminali non sono davvero, fino in fondo, «irrimediabili». Non se hai finalmente al tuo fianco una mamma che ti proteggerà. Proprio come fanno tutte le mamme del mondo.