venerdì 17 giugno 2011
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Se c’è una cosa difficile da prevedere sono le tendenze elettorali. È un fatto ben conosciuto dagli studiosi dei fenomeni sociali e dai sondaggisti. Le variazioni del consenso, d’altronde, sono l’anima che genera e alimenta efficacemente la vitalità delle democrazie avanzate. E la "sovranità popolare" presuppone proprio un’opinione pubblica libera di cambiare giudizio man mano sui propri rappresentanti politici. In Italia, senza ombra di dubbio, i risultati dei due ultimi ravvicinati appuntamenti elettorali hanno attestato un forte fermento politico nei confronti dell’intera classe dirigente. Come su Avvenire (e altrove) è già stato rilevato, in questa occasione referendaria è avvenuto un fenomeno interessante rispetto all’ultima consultazione a forte contenuto "eticamente sensibile", quella del 2005 promossa sulla legge di compromesso tra diverse sensibilità che aveva posto fine, almeno in Italia, al Far West della procreazione artificiale. Allora i quesiti erano ispirati da una forte polemica anti-cattolica, esplicitamente espressa dagli stessi promotori. In questa occasione le domande proposte sono andate invece a motivare proprio la base cattolica. È chiaro che non si tratta di dare un valore confessionale alla partecipazione di domenica e lunedì scorsi, ma di riconoscere che laddove sono toccati i sentimenti profondi del popolo italiano – su valori come il bene pubblico dell’acqua o la difesa dell’ambiente o il principio di precauzione o, ancora, la giustizia uguale per tutti – la risposta diviene non solo favorevole, ma addirittura ampiamente favorevole. In questo caso, i principi etici sollecitati dai quesiti abrogativi richiamavano a quell’etica del «bene comune» che è patrimonio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa. Distinguere pubblico interesse e interesse privato, garantire la finalità sociale e personale delle risorse comuni non sono fatti opinabili, ma coincidono con i dettami costitutivi della visione cristiana della politica.La nostra democrazia, d’altronde, è una Repubblica parlamentare. E il suo buon funzionamento richiede che la sovranità sia attiva e si esprima per mezzo di movimenti politici organizzati, in grado di captare e guidare con continuità il consenso. A ciò servono i partiti. E il fatto che la partecipazione sfoci oggi in canali inconsueti e indipendenti, come sono i referendum o i candidati non ufficiali, è una potente spinta al cambiamento. Oltretutto, è importante rimarcare che questo protagonismo "dal basso" non spiega da sé quanto sta maturando realmente nella coscienza degli italiani. È solo il "sintomo" di un’aspirazione e di un bisogno che devono essere interpretati, non avendo trovato ancora una reale soddisfazione nei mezzi politici attualmente a disposizione.Chissà, forse è giunto il momento di riscattare il senso di alcuni valori fondamentali della nostra convivenza civile come "bene comune" e "interesse pubblico", tenendo presente che non è possibile farlo senza partiti e senza una rappresentanza adeguata. Non è possibile, infatti, una democrazia funzionale senza, al contempo, una civile, consistente e consapevole partecipazione popolare. Così come non c’è sovranità democratica senza un preciso riferimento al bene comune. Perciò l’interesse pubblico implica l’esercizio pieno e cosciente della partecipazione popolare. Le due cose procedono sempre di pari passo. Le indicazioni venute dagli italiani contribuiscono, dunque, a scuotere in profondità le fondamenta di maggioranza e di opposizione. E garantire una stabilità politica purchessia non sarà più tanto facile. La cosiddetta società civile sembra essere decisa a riprendersi il proprio esigente potere di vaglio sulla classe politico-parlamentare. La grande "sberla" elettoral-referendaria lo dice con forza, e questo potrebbe avere effetti salutari su un quadro bipolare da rifondare.
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