mercoledì 11 agosto 2010
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Agosto nero, ciorny avgust dicono a Mosca. È la sindrome di cui soffre la nuova Russia dove le tragedie più grandi avvengono quasi sempre nel mese più caldo dell’anno. A cominciare dal tentato golpe contro Gorbaciov nel 1991, per proseguire con il crac finanziario del 1998, l’esplosione del terrorismo islamico e gli attentati dinamitardi che sbriciolarono interi condomini nel 1999, lo sconvolgente incidente nel 2000 del Kursk, il sottomarino nucleare colato a picco, e più recentemente lo scoppio del sanguinoso conflitto con la Georgia nel 2008. Ci mancava solo quest’agosto 2010 nero di fumo, una nube acre che soffoca Mosca e si estende fino agli Urali mentre continuano a divampare spaventosi incendi di boschi e torbiere con le fiamme che si alzano come gigantesche torri di fuoco e bruciano villaggi, distruggono basi militari e lambiscono pericolosamente siti di centrali nucleari.Colpa di un’ondata eccezionale di caldo che non si registrava da 130 anni – e forse addirittura dalla nascita della Russia, dieci secoli fa – dicono gli esperti. Un immenso territorio disseminato di vecchie izbe e palizzate, «un Paese fatto di legno», l’ha definito lo scrittore Erofeev. Un Paese dove ogni anno bruciano mediamente 700 mila ettari di terreno boschivo e muoiono negli incendi tantissime persone (17 mila nel 2006). E dove non sono poi così rare le estati torride, se già Tolstoj in Guerra e pace descriveva l’afa e la siccità dell’agosto 1812, «con il sole che pareva un grande globo di porpora mentre la gente soffocava per la polvere sabbiosa che entrava nei polmoni».A quanto pare, poco o nulla è cambiato nel Paese fatto di legno. E come tutte le catastrofe ambientali anche quella che sta devastando in questi giorni la Russia è dovuta soprattutto all’incuria generale, all’imprevidenza delle autorità e all’inefficienza delle strutture per la protezione civile. Ci sono responsabilità precise che hanno la loro radice nel nuovo Codice forestale, voluto dal Cremlino nel 2007, con cui sono stati diminuiti i finanziamenti, ridotto di un terzo il numero delle guardie forestali e divise le competenze affidate in gran parte ai governatori regionali, che a loro volta si sono appoggiati ad agenzie private, poco preparate e senza il minimo coordinamento fra loro. Basti pensare che, di fronte a un incendio, non si scambiano le foto aeree perché sono abituate a venderle al miglior offerente.I vecchi impianti di allarme, intanto ,sono andati in rovina senza essere sostituiti da nuovi sistemi, come ha denunciato un blogger di Skolkovo, la città che nei piani del presidente Medvedev dovrebbe diventare la Silicon Valley della Russia. Il sogno di modernizzazione del giovane leader del Cremlino viene coperto di ridicolo. Non a caso, a rispondere prontamente all’arrabbiato blogger è stato Putin che in qualità di primo ministro si sta mostrando attivissimo nel portare solidarietà alle vittime e nel promettere pingui risarcimenti ai sopravvissuti. Ci tiene a marcare la differenza dal presidente Medvedev, che nel bel mezzo della catastrofe se n’è andato in Ossezia del sud a commemorare la vittoria di due anni fa, e anche dal sindaco di Mosca, l’ineffabile Luzkov che è rientrato solo due giorni fa dalle vacanze dicendo che in ogni caso non avrebbe potuto farci niente. Putin affronta a viso aperto la protesta dei cittadini ma anche lui è in calo di popolarità.Siamo ancora lontani da un’operazione trasparenza sul numero delle vittime e sull’entità dei danni. L’unica speranza per i russi è che il vento impetuoso, che da settimane soffia da sud-est alimentando gli incendi, cambi direzione. In attesa che un giorno soffi un vento nuovo anche ai vertici del potere.
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