giovedì 7 aprile 2011
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Quando in Borsa s’è sparsa la voce delle dimissioni da presidente delle Assicurazioni Generali di Cesare Geronzi, il riscontro sui circuiti telematici è stato immediato: una corsa agli acquisti che ha fatto balzare all’insù di oltre il 4% la quotazione del titolo. Un paradosso, poiché di norma un così repentino cambio al vertice di una società, dovrebbe provocare incertezza, disappunto. Quindi corsa a vendere. La frase di un tycoon, vecchia volpe di Piazza Affari, ben sintetizza l’evento clamoroso: «È saltato il tappo che mortificava una bellissima società. Ora possiamo brindare a champagne per lo scampato pericolo». Giudizio severo, in qualche misura probabilmente ingeneroso, quello su Geronzi. Inoltre mezzo secolo di carriera (dal Banco di Roma a Capitalia, per un breve periodo al vertice di Mediobanca senza però il carisma di Enrico Cuccia, poi alle Generali di Trieste nonostante la spada di Damocle di tribolazioni giudiziarie), Geronzi si era proclamato, meglio: autoproclamato, «banchiere di sistema». Traduzione: colui che agiva da regista nel Risiko della finanza. Con tuttavia una caratteristica poco esaltante: dove passava, anziché fiorire come prometteva, le banche si sfarinavano. Perdendo smalto.Detto questo, occorre tentare una risposta al perché della caduta di Geronzi, in un Consiglio di Amministrazione convocato di urgenza, che in qualche modo fa venire alla mente il Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, quando Mussolini si arrese per la ribellione di alcuni gerarchi, che consideravano il Capo colpevole di una guerra persa. Ecco il punto cruciale: Geronzi si è rivelato, nel susseguirsi delle mosse, sempre più debole e velleitario. Sino a far temere che col suo obliquo sistema di alleanze stesse sotto sotto lavorando a beneficio del Re di Prussia. Nella fattispecie i francesi di Vincent Bolloré, magnate transalpino, intimo di Nicolas Sarkozy. Questo Bolloré, bretone coriaceo e ambiziosissimo, si era messo in testa di trasformare l’Italia in un protettorato economico francese. Lactalis voleva Parmalat, Groupama (assicurazioni) Fondiaria-Sai del Gruppo Ligresti. E partendo dal suo trampolino in Mediobanca dove dispone di oltre il 5%, ecco mirare alla grossa preda. Le Generali appunto, ove era riuscito a farsi nominare vice-presidente con appena uno "zero virgola" di azioni. Uno scandalo per gli altri soci, soprattutto gli ottimi manager che il tandem Geronzi-Bolloré stava portando alla frustrazione. Sino a innescare la rivolta, pilotata con durissima grinta dall’industriale finanziere Diego Della Valle. Probabilmente il ruzzolone di Geronzi ha subito una accelerazione dal conflitto libico. Quando anche i ciechi hanno visto il tentativo di Parigi, di un Sarkozy guerriero, di estromettere l’Italia da un’area di tradizionali influenza. Il che, in ambito politico ha fatto drizzare le già aguzze orecchie del super-ministro Giulio Tremonti. Figura di sentimento nazionale e di cultura "colbertiana" (cioè dirigista), non poteva rimanere insensibile al sostanziale trasferimento di tanta parte del "nostro" patrimonio in mani straniere. Proprio la decisione di difendere Parmalat avrebbe dovuto far capire a Geronzi che gli atteggiamenti aggressivi di Bolloré erano "indifendibili".Oltre gli scenari specifici, una delicata questione: la necessità di un rinnovamento ai vertici della finanza. Per creare un clima diverso, più consono delle reale esigenze di un Paese che non vuole essere appaltato mentre è stanco del gioco delle poltrone fra i «soliti noti». Qualche mese fa, non dimentichiamolo in Unicredit era stato spinto alle dimissioni Alessandro Profumo. Lo definivano Mister Arrogance, e anche nella fattispecie Tremonti avrebbe pesato. Quanto a Geronzi, non si intendeva più nemmeno col governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Due punti sono, dunque, chiari. La difesa dell’italianità del sistema finanziario; l’urgenza di un rinnovamento per trovare la necessaria omogeneità. Va da sé che l’uscita di scena di Geronzi dalle Generali potrà ripercuotersi, a catena, sulle altre poltrone da lui occupate. In primis nella Rcs-Corriere della Sera. Ne discende l’interrogativo: avremo altre scosse telluriche? Probabile, sebbene sia azzardato fare pronostici, e pur consapevoli che sia Draghi che Tremonti sono determinati a disboscare la "giungla degli gnomi" per metterla a servizio del Paese anziché inseguire alchimie di potere che hanno fatto il loro tempo.
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