Il 9 maggio di sessant’anni fa l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman gettava in un ormai celeberrimo discorso le basi politiche e ideali della nascitura Comunità europea. Fu il primo atto ufficiale in cui compariva il concetto di Europa come unione economica e, in prospettiva, politica tra i vari Stati europei e rappresentava l’inizio del lungo processo d’integrazione del Vecchio continente. E’ opportuno rammentarlo, perché mai come oggi - Festa dell’Europa - questa spinta originaria ha ritrovato una sua forza e una coesione che negli ultimi anni era malauguratamente venuta meno. Ci voleva la crisi greca, ci voleva il rischio di un incendio che potenzialmente può distruggere l’unità economica e monetaria della Ue e minare nazioni anche solide come l’Italia e il Regno Unito per mettere a punto il piano di emergenza in difesa della moneta unica dagli attacchi della speculazione mondiale. Una maratona che si è protratta nella notte di Bruxelles al tavolo dei capi di Stato e di governo dell’Eurozona, di quei sedici Paesi cioè che hanno adottato l’euro come valuta ufficiale. Una valuta severamente messa alla prova dagli assalti degli hedge fund e dei grandi speculatori che in questi ultimi mesi hanno colpito ovunque vi fosse un varco nelle mura della fortezza europea, indebolendo significativamente l’euro nei confronti del dollaro (venerdì sera era sotto quota 1,27) grazie anche all’uso non sempre cristallino delle "pagelle" somministrate dalle tre grandi agenzie di rating, Moody’s, Standard & Poor e Fitch, ai debiti sovrani delle nazioni europee in difficoltà di bilancio.Non ci stupisce affatto l’assalto della speculazione: essa fa esattamente il proprio compito, senza riguardi per nessuno. Ci preme piuttosto sottolineare come questi assalti siano stati possibili e per un certo periodo coronati da successo per almeno due ragioni: la struttura stessa dell’edificio europeo e l’assenza di una politica e di una visione unitaria. Invano si cercherebbero nella Bce piuttosto che nella Commissione europea responsabilità nella maldestra gestione iniziale della crisi greca che oggettivamente - vuoi per statuto vuoi per effettivi limiti d’azione - non potevano avere. Diciamo piuttosto che senza la Bce - senza cioè un organismo centralizzato che oltre alla vigilanza sulla stabilità dei prezzi esercita il controllo sulla base monetaria fissando i tassi di interesse a breve - non saremmo stati in grado di costruire un argine significativo nei confronti dell’offensiva mossa contro l’euro. E’ viceversa la struttura della casa-Europa che è imperfetta e incompleta: i Trattati che faticosamente i Paesi membri si sono dati non configurano un’Europa efficacemente governabile, bensì la somma compromissoria di differenti sensibilità, quando non di visioni diametralmente opposte, tanto da essere stati varie volte violati o disattesi.Ma è soprattutto la politica ad aver latitato: a lungo incapaci di uscire dagli egoismi nazionali e di assegnarsi una guida che parlasse con una sola voce, i Ventisette si sono dati per l’ennesima volta una rappresentanza debole se non illusoria; come giudicare altrimenti il drammatico e insieme teatrale inserimento di Obama nelle trattative dell’altra notte a Bruxelles che scavalcava senza mezzi termini la figura istituzionale del premier stabile Van Rompuy per scegliere come interlocutore quello che maggiormente rappresenta a tutti gli effetti la vera leadership europea, cioè Angela Merkel?Molti miti sono caduti nel corso di questa crisi, da quello dell’euro come moneta al riparo da ogni pericolo a quello dell’Unione Europea come inespugnabile fortezza. Ci piace pensare tuttavia che assieme al frantumarsi di alcuni feticci siano sorte consapevolezze nuove: su tutte, quella che soltanto un fronte e un’azione comune potrà salvarci dall’assalto alla nostra integrità. Meglio tardi che mai.