Mai e poi mai consentiremo alle mafie di dividerci a causa dei nostri distinguo, delle nostre sensibilità, delle nostre inclinazioni politiche, delle nostro essere meridionali o settentrionali, delle nostre differenti condizioni sociali, dei nostri successi o delle nostre sconfitte, delle nostre ambizioni e delle nostre capacità... Ecco le parole che ci piacerebbe venissero pronunciate da Roberto Saviano e Roberto Maroni, due protagonisti – nell’Italia di oggi – della lotta alle mafie, a tutte le mafie: "Non ci divideremo, non ci divideranno". E mai consentiremo al comune avversario di lucrare su un’enfasi, su un teatrale colpo di tv, su una diffidenza, su una doppia difficoltà...Forse accadrà, lunedì, negli studi Rai di "Vieni via con me", dove il ministro dell’Interno, Maroni, potrà intervenire per esporre le sue ragioni, dopo giorni di polemiche con lo scrittore, Saviano, che mettendo a nudo i segreti della camorra si è guadagnato notorietà e una condanna a morte. Noi tutti, da cittadini a cui le mafie fanno ribrezzo e paura, abbiamo bisogno anche di questa concordia (e poi, magari, continueremo liberamente e motivatamente a dissentire dal Saviano che sproposita di eutanasia o dal Maroni uomo di partito). Noi tutti abbiamo bisogno di questo segno per ciò che abbiamo letto e per ciò che abbiamo visto in tv, più d’uno per quanto ha subìto. E troppi tra coloro che sono nati sotto al Garigliano, per la percezione di vivere (e sopravvivere) in un contesto socioeconomico in cui il fiato maleodorante della mafia, della camorra o della ’ndrangheta, ti soffia all’improvviso sul collo. E spesso non ha neanche le sembianze truci del sicario o del taglieggiatore di turno, ma si manifesta con quell’obliquità delle parole che serpeggia anche negli ambienti più impensabili, corteggia gli uomini e le donne dei Palazzi, appesta le relazioni sociali, attutisce la vigilanza critica, lede la morale comune.Per tutte queste ragioni, i cittadini non possono che chiedere ai protagonisti di questa pagina di vita pubblica giocata sulle parole che si rovesciano dagli schermi televisivi e invadono le pagine dei quotidiani, di mettere fine al più presto a questo scandalo della divisione. Non è difficile immaginare quanto la divisione possa far felici i boss delle mafie. Conoscono, con perfidia, le debolezze degli uomini e hanno già sperimentato quella delle istituzioni. A loro, alle loro intelligenze perverse non dobbiamo concedere alcun vantaggio competitivo nello scontro epocale fra legalità e illegalità, fra verità e menzogna, fra trasparenza e inganno, fra libertà e schiavitù. Non sembrino esagerate queste considerazioni, perché il crimine organizzato va combattuto con il realismo della politica e la passione della libertà. Il realismo della politica che sa riconoscere il peso delle infiltrazioni mafiose ovunque esse si manifestino e sa contrastarle; la passione della libertà di quanti non accettano di piegare il capo sotto il ricatto mafioso e sanno organizzare la resistenza civile. Nel Sud, ma oggi anche nel Nord, sempre più nel mirino delle mafie e in particolare della ’ndrangheta.Ecco perché, a questo punto, anche noi aspettiamo la prossima puntata di "Vieni via con me". Sperando che sia la premessa a ben altro, che ben altra sede merita: il sigillo di un nuovo patto civile e repubblicano contro le mafie. Un patto che ci piacerebbe sottoscrivere in nome dell’unità del Paese. A tappe forzate ci avviciniamo alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Quale migliore viatico un’alleanza fra Nord e Sud, fra uomini del Nord e del Sud per voltare pagina? È troppo augurarsi che il 2011 diventi l’anno dell’unità del Paese contro le mafie? I mafiosi devono sapere che non avranno un cuscino dove posare il capo: perché lo Stato italiano ha le armi della repressione e della giustizia e perché la società civile, a Nord come a Sud, si riconosce nel coraggio di chi osa sfidarli. C’è un solo avversario, e sono loro.