Quel che succede in Libia attira l’attenzione del mondo, perché si tratta di un grande evento: un altro dittatore, che aveva potere assoluto su un grande Stato africano, viene spodestato ed è in fuga. Ma l’attenzione è maggiore in Italia, non solo perché quel Paese è stato nostra colonia, ma anche perché siamo ancora il primo Stato al mondo per la quantità di affari con la Libia. E questi affari sono delicatissimi, perché riguardano le materie prime, petrolio e gas. La nostra più grande compagnia petrolifera, l’Eni, è in Libia praticamente da sempre, conosce il sottosuolo libico come nessun’altra azienda. Il problema è: questi rapporti d’affari resteranno intatti? O qualche altra potenza europea ci soppianterà? I pozzi continueranno a produrre petrolio, indipendentemente da chi comanda in Libia? I nuovi governanti subentreranno ai precedenti, senza nulla variare? Ci sarà continuità nello sfruttamento del sottosuolo? Ieri, sui giornali italiani, parlava l’amministratore delegato dell’Eni, ed esprimeva la speranza, fondata, che l’Eni continui ad operare come prima, che ci sia dunque continuità nell’estrazione del petrolio. O meglio: che si ristabilisca la continuità. Perché adesso è interrotta. Da che cosa? Dalle mine. I sostenitori di Gheddafi, scappando, hanno minato i pozzi. Prima proteggevano i pozzi con le armi, adesso li hanno minati. Le mine sono "soldati permanenti", mai in fuga, perennemente in agguato, pronti a scoppiare addosso a chi s’avvicina. Ecco cosa sono le mine: cecchini all’erta contro chiunque, bombe cieche che non distinguono amici da nemici, e dunque considerano tutti come nemici. Le mine mirano solo a uccidere, tagliare gambe o braccia, accecare, sventrare, invalidare. Sono usatissime dagli eserciti sconfitti. Un esercito sconfitto, lasciando sul territorio le mine, è come se restasse presente con suoi soldati ad ammazzare, orbare, tagliar gambe. Le mine non hanno scadenza. Una volta, quando si posavano le mine, operazione delicatissima che veniva compiuta da tecnici del Genio, si seguiva un piano scritto e disegnato, costruendo campi minati secondo una mappa, che poi veniva consegnata al nemico al momento della resa. Serviva per lo sminamento, perché senza sminamento non c’è pace. Adesso lo sminamento non solo non è previsto da chi perde la guerra, ma è ostacolato il più possibile. Le mine vengono posate a casaccio, apposta perché non vengano scoperte. Qui, in Libia, è chiaro che sono attorno ai pozzi, ma ovunque sia possibile, come in Bosnia o Kosovo, venivano posate (sotterrate) proprio là dove nessuno poteva aspettarselo. Per esempio, intorno alle scuole, o davanti agli asili. Le guerre civili (e questa della Libia è una guerra civile) hanno fatto questa scoperta: che per danneggiare il nemico serve di più colpirlo nelle donne e nei bambini che nei soldati. Quindi, è meglio se piazzi mine intorno alle scuole piuttosto che intorno agli aeroporti. La mina è più maligna del fucile. Il fucile lo punti contro il nemico, la mina è puntata contro chiunque. Le mine sono pensate e costruite da menti diaboliche. Hanno forme ingannevoli. Sembrano bambole, uccelli, scatole, scarpe, libri, ruote. Oppure si mimetizzano come terra nella terra. Una volta si costruivano e si posavano più mine anticarro, adesso nelle guerre civili son più le mine antiuomo. Le mine a pressione una volta avevano bisogno che ci passasse sopra un peso di decine di chili, un uomo in armi, adesso son calibrate sui pochi chili, basta un bimbo, una bimba. Una volta volevano indebolire il nemico, mettere fuori combattimento soldati, adesso vogliono colpire l’umanità, demoralizzarla. Una volta servivano per la guerra in atto, adesso son pensate per sempre. I soldati che scappando seppelliscono mine sottoterra lanciano una maledizione all’umanità.