mercoledì 30 marzo 2011
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La sfida collettiva nelle relazioni tra Europa e Africa esige l’assunzione di precise responsabilità. Occorre pertanto passare da una «partnership della convenienza» a quella della «convivenza», come ha auspicato ieri nella sua prolusione al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana il cardinale Angelo Bagnasco. Non è facile realizzare questo passaggio dalla forte valenza esistenziale, che implica un deciso cambiamento di mentalità in un mondo globale estremamente "mercificato" – lo sanno bene i nostri missionari e missionarie – ma si tratta, secondo il presidente della Cei, di una scelta non più rinviabile perché «tutta l’Europa è – non da oggi – in debito verso l’Africa, e deve ora operare per non rendere fallimentari gli sforzi di questi popoli in cammino verso approdi più democratici e rispettosi dei diritti dell’uomo».Basti pensare alle tante guerre dimenticate che in questi anni hanno insanguinato il continente, combattute innanzitutto e soprattutto per il controllo delle immense risorse minerarie ed energetiche presenti nel sottosuolo. Chi fissa lo sguardo, per esempio, sulla drammatica crisi in atto in Costa d’Avorio, che ha fatto precipitare nuovamente l’ex colonia francese nella guerra civile? Certo, stiamo parlando di un Paese relativamente "lontano". Ma come mai, tranne poche e lodevoli eccezioni, nessuno ne parla sulla nostra stampa?Pure in riferimento alla questione libica, la confusione regna sovrana, a causa non solo delle divaricanti interpretazioni in merito alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1973, ma anche per il prevalere, progressivamente più grave, di visioni e interessi contrastanti tra i Paesi della coalizione internazionale che agisce su mandato Onu. Questo, tra l’altro, rende indispensabile e urgente la separazione tra le attività umanitarie di protezione della popolazione civile e gli interessi e gli obiettivi dei diversi governi. A tale proposito, è illuminante e per certi versi profetica la denuncia di "Link 2000", un cartello qualificato di Organizzazioni non governative italiane (Ong) che recentemente ha ribadito l’urgenza di separare gli interventi dettati dall’imperativo umanitario da qualsiasi altra finalità.A richiedere questo tipo di approccio sono indubbiamente una molteplicità di fattori che vanno dalla complessità dell’attuale situazione nordafricana al confuso, mutevole e concitato sviluppo degli avvenimenti, dalla non chiarezza della strategia e degli obiettivi delle forze militari internazionali alla vicinanza dell’Europa, per non parlare del pericolo di produrre condizioni favorevoli all’estremismo e al terrorismo. È pertanto necessario vigilare e agire affinché i princìpi umanitari siano rispettati da tutti i governi: da quello del colonnello Gheddafi a quelli dei Paesi scesi in campo per fermare l’azione del rais libico contro il suo stesso popolo. Con la Carta della Good Humanitarian Donorship, è bene rammentarlo, essi sono stati sottoscritti nel 2003 dai governi maggiormente impegnati nell’aiuto e nella protezione dei civili, tra cui quello italiano.Lo scenario che comunque abbiamo di fronte è inquietante, perché nel caso della Libia, la politicizzazione e strumentalizzazione dell’«aiuto» internazionale potrebbe seriamente compromettere il pieno e libero accesso delle organizzazioni di soccorso e assistenza in tutte le aree bisognose della loro presenza. Bisogna, insomma avere la lungimiranza e la tenacia di promuovere in tutta Europa, e in special modo nel nostro Paese, un senso del dovere umanitario commisurato ai nuovi scenari internazionali, al fine di corrispondere attraverso misure confacenti all’insegna della solidarietà e della corresponsabilità. È una questione di civiltà che non può essere disattesa.
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