Tatuati, danzanti, abbronzati. Siamo noi, ma chi ne sente il senso? Esibiti, tatuati, danzanti, abbronzati... Ecco i nostri corpi di persone perlopiù cittadine e metropolitane si riversano sulle spiagge, sulle rive di lago, di fiume o di piscine. Disturbati dai temporali di questo Paese ormai tropicale, ma affamati di sole e di aria. Tutti mezzi ignudi, tutti al mare a mostrare anche 'le chiappe chiare', come cantava un motivetto simpatico.
Di fatto, un tripudio di corpi, un affollamento che a tratti prende le sembianze di uno strano carnaio, insomma un brulicare di parti di solito nascoste. E come guardare tutto questo, senza cadere in luoghi comuni, insomma con rispetto profondo, con intelligenza, con allegria pur senza nascondersi certi effetti grotteschi e certe scene pietose? I corpi siamo noi, il corpo non è un aggeggio, un meccanismo in cui abita una cosa impalpabile che possiamo chiamare anima, o se vogliamo 'io' o con altri mille nomi.
Viviamo in un’epoca che sta facendo faticosamente i conti con l’avere un corpo. Da un lato si nota un’esplosione della moda della danza: programmi televisivi, nuove star, piazze che si animano di ballerini, crescita del teatro-danza, inclusione nel teatro del corpo 'imperfetto', corsi di tango ovunque.
Dall’altro, tatuaggi di ogni genere quasi per fare in modo che il corpo parli, e sia visitato dalle parole e dai segni della vita. E infine, il crescere di fenomeni di bulimia e anoressia tra i giovani. Chi lavora con l’arte sa che da tempo gli artisti 'sentono' questa cosa, questo problema: cosa è il corpo in relazione a me? Cosa è un io-corpo? Dove si oscura l’unità tra anima e corpo, che la fede e la civiltà cristiana autenticamente vissute hanno espresso al massimo grado (un Dio si incarna, risorge fisicamente, mangiamo il corpo suo, la salvezza eterna è faccenda che passa dal corpo e lo riguarda) il legame tra la persona e il suo corpo si confonde, si complica, cerca antiche e nuove strade per fondare armonie spesso improbabili.
La questione è profonda e vasta. Di certo, noi non siamo solo 'mente' come vorrebbero coloro pronti sempre a ridurre il corpo a esperimento biotech, o a ridurlo a macchina da tenere allenata secondo il detto romano della 'mens sana in corpore sano', giusto ma ovvio e un po’ superficiale. E la nostra personalità non è solo esito della esperienza corporale. Anzi, spesso, come si vede in certi disturbi, il corpo è cartina di tornasole più che causa di problemi interiori. La unità dinamica e inscindibile tra anima mente e corpo è una questione da riconquistare sempre.
E oggi che si propaga silenziosa, ma assordante, la domanda di Leopardi, la domanda centrale della modernità: 'e io che sono?' il corpo, i corpi, mandano i loro segnali, esibiscono il loro dramma, si scrivono addosso pur di essere significativi, danzano per essere gesto, portatori di senso, non solo attrezzi da manutenere. Ci gridano addosso: siamo voi. E diventano oggetto di scandalo politico quando fragili, malati, apparentemente inutili. Una teologia del corpo (come quella che interessò Karol Wojtyla) è forse presente in campo estetico forse più che di riflessione e di pastorale, mi pare. Ora i corpi sulle spiagge ci ricordano chi siamo. Non essenze, non solo anime, non energia... Non una idea di persona, ma un corpo. E perciò forma, gravità, bellezza da scoprire sempre cosa sia davvero, e senso. Che è il termine, nella nostra lingua prodigiosa, che sta a indicare sia il significato, la direzione del nostro viaggio umano ma anche i nostri cinque modi corporali di scoprire il mondo.