Gentile direttore,nel trattare la giornata contro l’omofobia, "Avvenire" mi rimprovera di aver sovrapposto due temi, in un modo che giudica «ingiustificato e inaccettabile»: da un lato il «giusto contrasto degli atteggiamenti omofobici», dall’altro «la pretesa di equiparare le coppie gay alle famiglie formate in base all’articolo 29 della Costituzione». Quanto al primo punto – la lotta all’omofobia – apprezzo particolarmente il fatto che essa sia ormai patrimonio diffuso. Non era così fino a pochi anni fa, come dimostra anche il fatto che il nostro Parlamento non è fin qui riuscito a fare contro l’omofobia uno specifico intervento legislativo. Se ora in molti parliamo di «giusto contrasto», ho fiducia che alle Camere sapremo tradurre in atti questo sentire comune. Più controverso l’altro tema, il riconoscimento giuridico delle unioni (di questo ho parlato, non della «equiparazione delle coppie gay alle famiglie»). In effetti sono convinta che l’omofobia prosperi anche perché le persone omosessuali continuano ad essere tenute in una condizione di inferiorità giuridica: se non vengono affermati in modo chiaro i loro diritti, le violenze e le discriminazioni avranno sempre qualche forma di incivile «giustificazione»."Avvenire" sostiene che basta una giurisprudenza consolidata e il costante ricorso al codice civile a garantire la possibilità che una persona omosessuale assista il suo partner in ospedale o ne erediti i beni. Ma chiedo: perché deve esserci bisogno di interpretazioni "benevole" della giurisprudenza – quasi si trattasse di una generosa concessione – quando invece si può definire il loro diritto? Riconoscere diritti a chi non ne ha non significa toglierli a chi già li possiede. Se usciremo da un’idea "egoistica" dei diritti, la nostra convivenza potrà guadagnarne.Quanto agli «stereotipi», infine, di cui mi sarei fatta sostenitrice, trovo la critica ingenerosa. Ho passato la gran parte della mia vita professionale a combattere gli stereotipi e i pregiudizi che ne sono parenti stretti, spesso trovandomi dalla stessa parte di "Avvenire", e avendone l’importante sostegno. Conto sul fatto che potrà essere così anche in futuro.
Laura Boldrini - Presidente della Camera dei deputati Può esserne certa, gentile presidente Boldrini, noi siamo sempre gli stessi. Con gli stessi identici valori di riferimento: sia quando ci battiamo per la dignità intangibile e la libertà di ogni persona di qualunque nazionalità e di qualunque cultura e colore, in qualunque fase o in qualunque condizione di vita e di salute si trovi, sia quando affermiamo sul piano naturale e civile la specificità intangibile del matrimonio, come «unione fertile» di una donna e di un uomo. Altri rapporti di natura non matrimoniale e i diritti delle persone in essi coinvolte, compresi quelli di conviventi dello stesso sesso, sono già regolati – e, se si ritiene, ulteriormente e saggiamente regolabili – dal nostro codice civile a patto che gli interessati ricorrano ai relativi strumenti normativi, ma non sono regolati e mai dovrebbero esserlo sul piano matrimoniale che non è affatto il piano "degli affetti" (che nessuna legge può pretendere di regolare!), ma è il piano della vita trasmessa, cioè è il piano "dei figli". Uscire da un’idea "egoistica" dei diritti significa, a mio non solitario avviso, agire anche sul piano normativo in modo tale che nessun figlio mai diventi «oggetto» di un diritto altrui, un «prodotto» da ottenere comunque e a qualunque costo. Per questo è umanamente rischioso sovrapporre i piani. Quanto ai dati consolidati sul piano giurisprudenziale, gentile presidente, non riesco neanche a concepirli come una «benevola concessione»: nei casi richiamati (assistenza al convivente malato e disposizioni testamentarie) sono limpide e sensate "applicazioni della legge", dunque questo – e questo solo – possono essere giudicati.Vorrei infine confermarle che neppure sull’ipotesi di una specifica legge contro l’omofobia abbiamo cambiato avviso. Perché non sarebbe una buona cosa – mi autocito: "Avvenire" del 27 luglio 2011, prima pagina – la formalizzazione di una «esemplare eccezione», visto che il nostro ordinamento già contempla l’aggravante per atti violenti compiuti per motivi «abbietti e futili». Scrivevo allora: «Meglio, molto meglio (...) restare affidati alla chiarezza dei princìpi cardine e delle regole che ne discendono. Purché si torni anche a considerare con la dovuta urgenza che, per far valere princìpi e regole, serve qualcosa che forse sembra banale, ma banale purtroppo non è più: tanta buona educazione. Che non è solo galateo, ma appunto un’educazione buona, cioè vera e umanamente profonda. Tesa a formare uomini e donne di autentica e civile moralità, che sentono e riconoscono come del tutto sbagliati e, dunque, da riprovare e ritenere giustamente sanzionabili brutalità e aggressivi esibizionismi, invettive e insulti, volgarità e prevaricazioni». Al nostro Paese – i suoi impegni pre-politici, gentile presidente Boldrini, dicono che ne è convinta – servono umanità e «leggi uguali per tutti». Diritti non egoisti, appunto. (mt)