Davanti alla tragedia che l’altra notte ha sconvolto la città di Viareggio esprimere cordoglio per le vittime e solidarietà per quanti sono stati colpiti negli affetti e nei beni resta il primo elementare dovere di sensibilità civica e di pietas umana. Che il passo successivo debba essere quello di fare luce sulle cause del rogo accertando eventuali responsabilità attive o quanto meno omissive è fuori discussione. Invocare ad ogni pié sospinto la fatalità - attitudine nella quale noi italiani siamo versati - non vale a rendere giustizia a chi non c’è più, non serve ad asciugare le lacrime dei familiari in lutto. Si prospettano tempi lunghi per sapere perché il gpl di quella cisterna maledetta abbia preso fuoco: si indaghi allora con tenacia e diligenza per dare una risposta ad interrogativi che sono di tutto il Paese. Premesso questo, sarebbe un pessimo modo di onorare la memoria di chi nel rogo ha perduto la vita se qualche anima candida, sull’onda di una emozione crescente e incontrollabile, arrivasse ad invocare che i treni cisterna non transitassero più in ambito urbano, come se ferrovie e stazioni potessero a colpi di bacchetta magica venire delocalizzate a chilometri di distanza da una città, venendo così meno al loro essere parte integrante di un sistema di trasporto pubblico ramificato, accessibile, comodo. Dei 700 treni merci che circolano quotidianamente sulla rete Fs una quarantina trasportano materiali potenzialmente pericolosi. Che facciamo? Trasferiamo tutto su strada? Andrebbe anche chiarito a chi fosse propenso a fare di ogni erba un fascio che il carro ferroviario o l’autocisterna che trasportano gpl, al pari del bombolone di gas interrato nel giardino di una villetta per assicurarne il riscaldamento, non sono bombe pronte ad esplodere. Sono impianti collaudati, soggetti a verifiche e revisioni, sottoposti a esami che ne devono garantire l’operatività e la sicurezza. Solo se nessuno fa i necessari controlli il discorso cambia, ma la responsabilità di un eventuale disastro resta addosso a chi dovendo provvedere alla manutenzione ha preferito confidare nella buona sorte con una incoscienza che sconfina in un criminale comportamento omissivo. Piuttosto quello che emerge dal caso Viareggio suona ad ulteriore indiretta conferma della cronica debolezza del sistema infrastrutturale italiano. Vediamo di chiarire. Se la penisola fosse percorsa da una rete capillare di metanodotti dotati di terminali in grado di raggiungere le località più remote verrebbe fortemente contenuta la necessità di movimentare su strada o su ferrovia ingenti quantitativi di gas liquido derivato dal petrolio e destinato al riscaldamento, all’autotrazione e agli usi domestici. Al di là della tragedia che ha messo in ginocchio Viareggio e dolorosamente scosso il Paese, al di là dei lutti, delle sofferenze dei singoli e della famiglie, dei danni materiali difficili da quantificare, l’esito peggiore del disastro che ha avuto per teatro la città- simbolo della Versilia sarebbe quello dell’accentuazione e della strumentalizzazione dell’ostilità di quella parte dell’opinione pubblica che si oppone alla realizzazione dei gassificatori. Per vincere la dipendenza dal petrolio l’Italia avrà sempre più bisogno di metano acquistato sui mercati più convenienti, non collegabili da pipelines data l’enorme distanza. Il metano arriverà via mare, stoccato sotto forma liquida in impianti che lo rilasceranno in rete sotto forma gassosa. I gassificatori, appunto. Sarebbe una iattura un’alzata di scudi dettata dall’emotività. Un gassificatore - progettato a costruito a regola d’arte, non vale neppure la pena di precisarlo presenta in materia di sicurezza una peculiarità non trascurabile: non viaggia su strada né su rotaia.