mercoledì 7 maggio 2014
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L'anuncio politico di ieri dell’accordo di dieci Paesi Ue per l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie rappresenta una tappa importante di un iter avviato da tempo. Il 23 maggio del 2012 il Parlamento europeo aveva votato a larga maggioranza (487 voti su 685) a favore dell’introduzione della tassa in un momento in cui l’Eurobarometro indicava un’opinione pubblica europea favorevole al 66%.

L’accordo raggiunto è comunque importante, anche se la vaghezza sulla base imponibile impone cautele: i dieci Paesi (la Slovenia si è sfilata, all’ultimo minuto) concordano sulla volontà di far scattare la misura al più tardi all’inizio del 2016, probabilmente in due fasi, partendo dalle azioni sulle quali si registra consenso unanime e cercando poi di allargare il perimetro della base imponibile a quegli strumenti di finanza derivata su cui c’è meno uniformità di vedute. A prescindere dall’esito finale del percorso, i dettagli restano tutti da stabilire. Sappiamo, però, che il progetto europeo prevede una tassa su tutte le transazioni (non solo sui saldi a fine giornata, come nei casi dei provvedimenti già varati singolarmente da Francia e Italia), con un’aliquota dello 0,05% (di un decimo inferiore per i derivati) e con un principio di doppia imposizione che dovrebbe minimizzare i tentativi di elusione. Ci sarà da superare il fuoco di sbarramento di Paesi fuori dall’accordo come il Regno Unito, che persiste nel paradosso di avere in vigore sul proprio mercato azionario la Tobin Tax più alta d’Europa, ma che vuole impedire ad altri Stati di realizzarla.La tassa sulle transazioni non è la panacea di tutti i mali, bensì la frontiera (assieme ad altre sacrosante riforme relative alla separazione tra banca d’affari e banca commerciale, un contrasto efficace all’elusione fiscale e la modifica degli attuali sistemi di remunerazione di manager e trader) sulla quale si gioca il riequilibrio dei poteri e la misura della nostra civiltà. Che, nei fatti e nelle parole di chi si oppone, dovrebbe considerare più importante un euro risparmiato da un trader ad alta frequenza rispetto a un euro investito in scuola, sanità, contrasto alla povertà globale...La scala di valori viene prima di o­gni discorso tecnico: una volta tro­vato l’accordo su questa, ci sono mille modi di costruire la tassa nella manie­ra migliore possibile. E nessuno tra gli addetti ai lavori dovrebbe far finta di non sapere che nella valutazione d’im­patto europea si prevede di raccoglie­re 35 miliardi di euro (se poi le aliquo­te venissero limate ancora, sarebbero purtroppo molti di meno). Una cifra importante, ma con effetto di fatto nul­lo sulla crescita europea. Un sicuro ri­sultato della tassa sarebbe, invece, quello di rendere meno convenienti le attività di trading ad alta frequenza, contribuendo a limitare e, forse, a eli­minare le guerre stellari che si giocano ormai a colpi di algoritmi sui mercati. Guerre stellari che quando non sono dannose sono assolutamente inutili. Joseph Stiglitz, con un recente lavoro di ricerca, ha argomentato con effica­cia che il trading speculativo ad alta frequenza crea una 'liquidità fasulla' che viene meno proprio nei momenti in cui il mercato ne ha più bisogno e che produce vantaggi tecnologici per pochi operatori, scoraggiando coloro che potrebbero aumentare il livello di informazione sui fondamentali nei mercati (un processo che riduce di fat­to il contenuto informativo dei prezzi). E qualche anno fa Tommaso Padoa Schioppa pensava a una tassa sulle 'e­sternalità negative' della finanza e del­l’economia reale (tassa su transazioni finanziarie e tassa sulle emissioni CO2) per aumentare con esse i fondi del bi­lancio comunitario... Ecco, è arrivato il momento di trasformare queste idee in azioni, in strumenti utili e concreti, per­ché forse una parte non piccola – e la più sana – dell’euroscetticismo ha a che fare anche con questi temi. Possiamo riappassionare i cittadini al­l’Europa se dimostriamo coi fatti di po­ter costruire un’Unione al servizio di tutti e non ostaggio delle lobby della fi­nanza. E questa è la prima seria occa­sione che abbiamo a disposizione. A­desso serve chiarezza e serve coraggio.

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