Come molti altri, ritengo che la sentenza della Cassazione sul "caso Englaro" sia profondamente sbagliata. Auspico che ad essa non venga dato seguito, anche considerando che la sentenza si limita ad "autorizzare" e di certo non "impone" la sospensione dell’ alimentazione artificiale che mantiene in vita Eluana. Plaudo al cardinale Poletto, che ha il coraggio, con espressioni sobrie e rispettose, ben diverse da quelle da altri usate contro di lui, di chiamare con il termine più corretto la fine della vita che si sta progettando per la povera ragazza: "eutanasia". E lo ringrazio per come sta esortando all’ obiezione di coscienza i medici che dovessero essere coinvolti nella morte di Eluana. Come va valutata questa posizione, che non è solo del cardinale, ma anche mia e soprattutto di tanti altri laici e cattolici? Stiamo facendo violenza allo Stato di diritto? Stiamo calpestando la legalità? Rechiamo offesa allo Stato, "unico titolare della sovranità"? Stiamo alterando i suoi giusti rapporti con la Chiesa? Direi piuttosto che stiamo richiamando lo Stato al suo dovere più autentico, che è quello di legiferare secondo giustizia.Ragioniamo, se almeno questo ci è concesso, con un po’ di pacatezza e cerchiamo di individuare il punto centrale del dibattito. Si è detto: nel caso Englaro, il cardinale Poletto si sarebbe comportato correttamente se si fosse limitato a invitare i singoli medici all’obiezione. Egli invece ha sollecitato collettivamente un’intera categoria professionale a mobilitarsi, per mandare a vuoto una sentenza dello Stato! Nel nome dell’ identità cattolica, egli avrebbe "inventato" una sorta di "obbligazione di appartenenza", ricordando ai medici che il dovere di ubbidire alla legge di Dio è un dovere prioritario rispetto a quello che essi hanno nei confronti dello Stato. Ma allora che ne è della separazione tra Stato e Chiesa e della parità morale nelle discussioni pubbliche?Argomenti del genere dimostrano purtroppo quanto continui ad essere difficile per (alcuni) laicisti italiani capire in che cosa davvero si sostanzi il principio di laicità e la distinzione (più che la "separazione") tra Stato e Chiesa. In molti casi la Chiesa si batte (legittimamente) per se stessa, per i propri luoghi di culto, per i propri religiosi e le proprie religiose, per la tutela e la promozione della sua tradizione nel nostro Paese e dell’insegnamento pubblico della propria dottrina: tutte questioni di rilievo politico ed eventualmente concordatario, per regolare correttamente le quali la distinzione tra Stato e Chiesa è assolutamente indispensabile. Quando però la Chiesa interviene per difendere il bene umano, non lo fa per ragioni confessionali: infatti i suoi interventi sulla vita, sulla famiglia, sulla guerra, sulla dignità dei lavoratori, sull’ umanizzazione delle pene e su tanti temi sociali non concernono i "credenti", ma tutti gli uomini, senza distinzione alcuna. Se si fosse rivolto ai medici come singoli, il cardinale Poletto avrebbe umiliato l’etica ippocratica, che è, da ben cinque secoli prima di Cristo, schierata a difesa della vita, riducendone indebitamente l’ambito a quello di un ristretto orizzonte confessionale. Paradossalmente, nel suo rivolgersi alla classe medica in quanto tale e non ai singoli medici credenti, il cardinale ci ha dato una limpida lezione di laicità.In tal modo però, insistono i laicisti, ci si chiude gli occhi di fronte al relativismo delle democrazie odierne, che riconoscono sì alla Chiesa il diritto di parlare alle coscienze, ma non quello di creare forme alternative di "obbligazione religiosa", che contrasterebbero con il principio democratico che affida all’ autonoma decisione dei laici ogni decisione politica concreta. L’errore sta in questo, che quella che i laicisti confondono con una "obbligazione religiosa" altro non è in buona sostanza che il costante appello perché nelle dinamiche politiche e civili ogni legge, ogni sentenza, ogni pratica sociale abbiano come propria misura la giustizia. Sappiamo che nel mondo d’oggi su non poche questioni etiche e bioetiche fondamentali la coscienza dei cittadini è non solo divisa, ma addirittura lacerata. Guai però se la presa d’atto di questa lacerazione fosse utilizzata per produrre indifferenza o per legittimare qualsiasi forma di scetticismo. Sappiamo con quanta fermezza (alcuni) laici protestano, quando li si accusa, in quanto non credenti, di non avere adeguati valori morali. Ma se così stanno le cose, perché stigmatizzare interventi a difesa non dell’ autorità del Papa, ma della vita, interventi sobri, argomentati, rispettosi, autorevoli? La Chiesa non pretende una doppia ubbidienza da parte di chicchessia: pretende, ma soprattutto prega, perché gli uomini non cessino mai di cercare la verità e di operare per il bene di tutti.