Per chi da 50 anni si occupa di disabilità, e negli ultimi anni sta al fianco delle famiglie con figli disabili, l’indizione del Giubileo della Misericordia è motivo di una grande speranza: che la Chiesa finalmente affronti in una rinnovata Pastorale familiare la problematica del "dopo di noi" che per le famiglie dei disabili è veramente angosciosa e che si proporrà come emergenza sempre più drammatica nel prossimo futuro.Una relazione al Parlamento dell’Istat (ottobre 2014) avverte che su 260mila giovani adulti disabili che vivono ancora oggi in famiglia, il 60% sopravvivrà ai propri genitori. Questo vuol dire che 160mila persone si troveranno a breve senza più il sostegno dei propri familiari. Sostegno perlopiù unico, visto e considerato ciò che lo Stato dà con i suoi servizi, davvero insufficienti. È un vero dramma annunciato. Perché l’unica risposta ufficiale alla questione del "dopo di noi" sono solamente le "Residenze sanitarie assistite" (Rsa), che giustamente tanti genitori rifiutano perché improntate a un approccio puramente assistenziale, non rispettoso della dignità di vita che faticosamente cercano di dare ai propri figli. C’è insomma da costruire per questi bisogni del presente e del prossimo futuro una "cultura dell’accoglienza" che veda protagonista la famiglia normale, capace di prendersi a cuore tale problema, attraverso forme di affidamento simili a quelle anche in Italia sperimentate da tanti per affrontare i problemi dei minori.La sfida è "socializzare" la famiglia nel suo bisogno, riconoscendole il diritto di non essere sola a portare i problemi, per "familiarizzare" la società, estendendo – lo ripeto – il dovere e la possibilità di accoglienza da parte della famiglia anche su questo fronte. Tutta la società può e deve partecipare, aprendo la propria casa, istituendo case famiglia, gruppi appartamento, case sociali... In queste dimensioni il processo di integrazione con il territorio si può davvero realizzare con il coinvolgimento dei giovani per accompagnare, col loro prezioso lavoro, la valorizzazione lavorativa dei disabili e le attività di "residenzialità protetta" dove essi possono diventare "operatori di condivisione". Finalmente, anche se con fatica, il Parlamento sta portando avanti la tanto attesa legge per il "dopo di noi", che ha individuato nella strutturazione delle case famiglia la soluzione principale al problema.Dalla Chiesa, dal suo Giubileo di Misericordia ci attendiamo un’attenzione particolare, dentro un grande movimento di animazione e di sensibilizzazione. La famiglia, dove si sperimenta la grande effusione di misericordia di Dio, si apra con il cuore a questa "miseria".
Misericordia questo significa, non dimentichiamolo!Contiamo sull’attenzione di papa Francesco. Ma soprattutto chiediamo ai giovani, portatori naturali di speranza e in ricerca di un futuro diverso per se stessi, di dedicarsi alla emancipazione dei loro coetanei disabili in tutti gli aspetti della vita. L’integrazione scolastica sta funzionando, ma deve decollare un’integrazione sul territorio in un "durante noi" orientato al "dopo" a cui partecipino con fiducia le famiglie dei disabili, che a ciò vanno stimolate.Società e politica potranno cambiare se tutti insieme, cittadini e istituzioni, sapremo portare avanti concretamente e con coraggio questo progetto. La misericordia presuppone la giustizia, anzi la fonda! I "miseri", i poveri, non solo «subiscono l’ingiustizia, ma lottano contro di essa». Papa Francesco ce lo ha ricordato il 28 ottobre...*Sacerdote, fondatore della Comunità di Capodarco