Ansa
Una società cresce e migliora quando la diversità è aiutata a diventare valore, non quando diventa un vincolo che frena verso il basso progetti professionali e di vita delle persone. Questo vale su molte dimensioni, compresa quella in cui si distinguono, si confrontano, si mettono in relazione il maschile e il femminile.
In Italia, più che nelle altre economie avanzate, le scelte di realizzazione personale e familiare delle donne sembrano bloccate o con maggior difficoltà di piena espressione.
Il tasso di occupazione delle donne stenta ad arrivare al 50%, mentre tra gli altri paesi europei si registrano il 72% della Germania, il 70% del Regno Unito, e a seguire la Francia attorno al 62%, la Polonia poco sopra al 60%, la Spagna vicina al 57%. Se poi guardiamo alle caratteristiche del lavoro femminile, le donne sono spesso relegate in impieghi meno prestigiosi e qualificati, con basse prospettive di crescita professionale.
La promozione delle scelte femminili in grado di spostare al rialzo obiettivi familiari e valorizzazione del capitale umano non ha solo un impatto sulla realizzazione personale delle donne, ha anche ricadute sulle condizioni materiali delle famiglie, sulla crescita economica del paese e sulla sostenibilità del sistema di welfare pubblico. Oltre alla carenza di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, uno dei freni alla piena espressione e valorizzazione del potenziale umano e intellettuale femminile arriva da alcuni persistenti stereotipi che continuano a pesare sulle scelte formative e sui percorsi professionali. Se abbiamo bisogno di più attività di cura dei padri all’interno delle mura domestiche, con i propri codici emotivi e relazionali maschili, abbiamo anche bisogno di arricchire nel mondo del lavoro le professioni tecniche e informatiche con il valore del talento femminile.
Tanto più se consideriamo, come vari studi mostrano, che le donne tendono ad essere spesso più competenti dei coetanei maschi in ambiti di crescente importanza come il problem solving, la capacità di conciliare impegni diversi, la gestione delle relazioni umane. Queste sensibilità e propensioni, se aiutate a mettersi in combinazione virtuosa con competenze tecniche e digitali avanzate, possono rappresentare un decisivo fattore di arricchimento per le organizzazioni e le aziende italiane.
I dati di molte ricerche mostrano come, anche nelle nuove generazioni, ragazzi e ragazzi tendano a differenziarsi nelle scelte formative e nei percorsi professionali. Mentre, infatti, le giovani donne raggiungono in media titoli di studio più elevati rispetto ai coetanei maschi, più debole risulta la formazione nelle discipline più promettenti per il lavoro di oggi e di domani. Vivace, in particolare, è il dibattito pubblico sull’importanza di un maggior orientamento verso le materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Dati interessanti su questo tema vengono forniti da una indagine dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, realizzata in collaborazione con Repubblica degli stagisti e Spindox, che verrà presentata oggi al Museo del Novecento. La rilevazione, condotta su duemila giovani tra i 20 e i 34 anni, mostrano come ancora diffuso sia il pregiudizio che gli uomini siano portati più delle donne per le materie tecnico-scientifiche. In particolare l’informatica è la disciplina di studio che maggiormente è vista come riservata ai maschi. Si tratta di una convinzione ancora forte tra gli uomini e riguarda anche la predisposizione a ricoprire ruoli lavorativi nel settore. Infatti, rispetto all’affermazione che non solo le donne abbiano una minor predisposizione, ma che proprio non siano adatte alla professione informatica, a porsi in netta negazione è il 61,2% delle ragazze e solo il 41,8% dei ragazzi intervistati.
Sempre secondo i dati dell’indagine, le ragazze hanno meno occasione degli uomini di venire in contatto con il mondo delle ITC (Information and Communication Technology) durante la scuola secondaria, con conseguenze sulle scelte universitarie. Oltre a ciò, una elevata quota di donne e di uomini si trova d’accordo nel ritenere che fattori di dissuasione siano anche la scarsa presenza di donne nel settore, gli scarsi incentivi da parte delle università nel sostenere la presenza femminile nelle ITC e addirittura la reticenza dei genitori ad appoggiare le figlie nell’intraprendere percorsi di studio nella disciplina.
Sembra continuare ad esserci una forte resistenza culturale alla base degli ostacoli che le donne trovano nell’uscire dalla segregazione orizzontale (in alcuni settori lavorativi considerati tipicamente “femminili”) e verticale (in media le donne ricoprono posizioni più basse sulla scala occupazionale e salariale) nel mercato del lavoro. Tutto questo a discapito delle competenze ed abilità che le donne dimostrano di avere, e che sono risorse “uniche” in quanto meno comuni fra i colleghi maschi. Se per millenni forza ed aggressività sono stati requisiti cruciali per avere successo, nelle società contemporanee sono altre le competenze che contano, molto più in sintonia con alcune sensibilità più tipicamente femminili, quali ad esempio l’attenzione alle relazioni sociali, l’intelligenza emotiva e la gestione della complessità organizzativa. Pertanto, un atteggiamento adatto a un paese che voglia potenziare la propria capacità di produrre ricchezza e benessere nel mondo del lavoro, consiste nell’investire risorse per favorire la combinazione virtuosa di tali soft skills con competenze robuste in campo tecnico e informatico. In Italia il margine maggiore di crescita si trova, quindi, soprattutto sul versante della (sottoutilizzata e sottovalorizzata) forza lavoro femminile. Strategico sarebbe sfatare il luogo comune, che ancora in parte ostinatamente resiste sia nelle ragazze che nei loro genitori, per cui, in fondo, scienza e tecnologia non siano cose da donne.