È un peccato che i giornali non seguano la discussione in corso in Internet sui giovani e il dolore. Ci sono cose importanti da capire.Anzitutto, la rivelazionechoc che i ragazzi lanciano: quando hanno qualcosa che li fa soffrire, si rivolgono più volentieri agli amici di Facebook che ai genitori. E questo la dice lunga sia sui rapporti di amicizia che sui rapporti famigliari. Quando uno sta male e cerca conforto, si rivolge alla persona che conta di più. E gli amici contano più del padre e della madre. Non in tutte le famiglie, naturalmente, ma in molte, rassegniamoci, è così. Dobbiamo cercare di capire perché, se vogliamo capire i nostri ragazzi, che sono lo scopo della nostra vita.Chi cerca conforto, confida un dolore nascosto, scopre un segreto della sua vita. E i giovani si scoprono più volentieri con gli amici che con i famigliari. Tra loro, parlano molto, su Facebook è un continuo botta e risposta, e bisogna riconoscere che se uno ha un problema angosciante, tanti accorrono in aiuto.Seguendo la loro discussione in Internet ho trovato questo bisogno di confessione spiegato con un verso del Pascoli che non conoscevo: «Perché dolore è più dolor, se tace». I giovani non lo sanno, ma è su questo principio che funziona la psicanalisi: la psicanalisi è un allenamento all’espressione. Parlare fa bene. Confidarsi, confessarsi libera.C’è stato un grande psicanalista cattolico che ha fatto funzionare insieme psicanalisi e religione, psicanalisi e fede, si chiamava Viktor Frankl: Frankl racconta che una volta è venuta da lui una donna angosciata che subito s’è messa a raccontare i suoi problemi a perdifiato, concludendo: «Ora mi sento meglio». «Ma io, commenta Frankl, non avevo capito nulla, perché parlava una lingua a me sconosciuta». È il semplice parlare che fa bene. Se i figli parlano più tra loro che con i genitori, è ingiusto, se commettono qualche atto condannabile, prendersela con i genitori. Maso veniva dal bar, i genitori tornavano da Messa.Perché i ragazzi, nelle nostre case, si parlano tanto via Internet? Perché si scambiano messaggi per ore? Perché confidare i propri problemi a un amico vuol dire coinvolgerlo, quei problemi diventano anche suoi, non sei più solo a patirli, si è in due. Anche questo è un principio della psicanalisi: chi va in analisi ci va perché da solo non ce la fa, ma appena entra in transfert con l’analista sente che può farcela, perché l’altro lo aiuta. E dunque, cos’è questo dialogo sterminato che i nostri figli intrattengono ogni giorno con la rete dei loro amici di Facebook? Questo evento che non fa notizia, ma è l’evento più importante che si svolge nelle loro giornate e nelle nostre case? È una «selvaggia analisi collettiva». Se uno ha un dolore insopportabile, lo disperde in tutta la rete, ogni socio della rete ne riceve una porzione, e quella porzione è sopportabile, forse addirittura inavvertibile. Noi abbiamo le case piene di elettrodomestici, qualche elettrodomestico potrebbe andare in cortocircuito, e la nostra colf potrebbe fulminarsi: perché non succeda, i nostri elettrodomestici sono "messi a terra", hanno un filo che scendendo dagli appartamenti finisce sotto terra: in caso di scarica, la scarica si disperde nel mondo, e nessuno la avverte. Facebook è questa "messa a terra".Le tre w di www significano «rete grande quanto il mondo». Disperdendosi nella rete grande quanto il mondo, anche il dolore estremo, la perdita di un compagno, viene disperso. Corre un detto tra i soci di Facebook: «In Facebook non si muore mai». Facebook non è un nostro nemico, di noi genitori e insegnanti. È un nostro rivale. Dobbiamo guidare a usarlo, non impedirlo. Per guidare a usarlo, dobbiamo prima capirlo.