Per essere felici, buoni sogni da fare insieme
giovedì 1 febbraio 2024

Bisogna diffidare di chi spegne i sogni. Quelli a occhi aperti che non sono desideri ma semi di speranza, radici di vita nuova, verbi al futuro declinati al plurale. Non fughe dalla realtà ma luci che rivelano come dovrebbe e potrebbe essere, se solo provassimo a ragionare con la logica di Dio, Padre che vuole i suoi figli, tutti, nessuno escluso, liberi e felici.

Non a caso nel racconto dell’Esodo è Lui che prende l’iniziativa prima ancora che Israele lo chieda, è Lui a chinarsi sul dolore del suo popolo, è Lui a commuoversi di fronte ai suoi spasimi. E sono lacrime mescolate ad altre lacrime, che però vengono dal basso, quindi profondamente umane, che vuol dire pronte a diventare rabbia, insofferenza, rivendicazione.

L’uomo, infatti, è così, per arrivare alla piena libertà spesso ha bisogno di rinunce, sconfitte, delusioni, prove. Deve sperimentare il deserto della solitudine e dell’apparente abbandono, con il vento caldo che solleva la sabbia e gli impedisce di vedere.

Papa Francesco lo ricorda nel Messaggio per la Quaresima 2024 che inizierà il 14 febbraio con il rito umile e sapiente dell’imposizione delle ceneri. Come ai tempi del Faraone, scrive Francesco, c’è chi vuole spegnare i sogni e rubare il cielo e, colpa se possibile ancora più grave, far pensare che niente possa cambiare, che tutto resterà comunque immodificabile. E invece no, domani, se ci crediamo, se ci fidiamo, potrà essere un’altra storia.

Quando il perseguitato di oggi, lo scartato, potrà dare le carte senza barare interrompendo così la logica della sopraffazione e del sopruso. Allora sarà giustizia, e serenità, e condivisione. Ma prima c’è un cammino da fare, occorre riconoscere gli ostacoli che lo frenano, togliere i massi che fatichi a superare. Riconoscerli non è complicato. Sappiamo tutti benissimo di cosa si tratta. È, in primis, «un modello di crescita ingiusto», fatto apposta per dividere, tanto da inquinare «terra, aria, acqua» contaminando anche le anime, paradossalmente spinte a guardare indietro, quasi a rimpiangere la schiavitù.

Un po’ come capita agli ex detenuti. Quando escono, se non trovano nessuno che provi a capirli, arrivano a desiderare il ritorno in cella, sotto un cielo a strisce, però ormai sentito come proprio, comunque più vicino di quello incontrato fuori. Un’assurdità, certo, come gli uomini e le donne che si arrendono sulla soglia della rivoluzione della fraternità. E dire che avrebbero tutti gli strumenti per vincerla. Ci sarebbero sulla terra risorse sufficienti per sfamare ogni bocca, ci sarebbero codici e giustizia ispirati alla misericordia per “recuperare” chi sbaglia, ci sarebbero comunità di benpensanti in grado di disegnare architetture sociali in cui gli ultimi possono rimanere affiancati ai primi.

Gli uni vicini agli altri perché veramente uguali. Non divisi, come succede troppo spesso, dalla venerazione del potere, del denaro e, soprattutto di sé stessi. Perché lo sappiamo tutti, il deserto più difficile da attraversare è quello che chiede la rinuncia al proprio io, che si mette in ascolto delle realtà senza pretendere di modellarla a proprio uso e consumo, che è pronto a svuotarsi delle proprie certezze e autosufficienze per farsi riempire da una sapienza più alta. E allora sarà quasi facile ripensare gli stili di vita, diventerà immediato fermarsi come il buon samaritano davanti al fratello sofferente. Sarà logico immaginare il futuro al plurale. Come nei sogni più belli, che sono quelli fatti a occhi aperti. Insieme.




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