mercoledì 13 febbraio 2013
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L’ennesima provo­cazione nucleare nordcoreana è ben di più (e molto peggio) di un gesto tanto irresponsabile quanto spettacolare: si tratta in realtà di un rischio calcolato, non per questo, però, meno in grado di sfuggire al controllo degli apprendisti stregoni di Pyongyang.
Approfittando della distrazione dell’Occidente e, più in generale, delle grandi potenze concentrate sulla sempre più precaria situazione mediorientale e divise sul da farsi rispetto alla crisi siriana, il regime della Corea del Nord sta cogliendo l’occasione di modificare i dati dell’equilibrio strategico dell’Asia orientale. Dalla sua sa di avere una serie di coincidenze difficilmente ripetibili.
Le grandi potenze appaiono divise e distratte non solo dal dossier siriano, ma anche da quello iraniano, cioè il secondo caso di (presunta) violazione del protocollo di non proliferazione. Qui sono soprattutto gli Stati Uniti, seguiti con malcelata riluttanza dagli europei, a sollevare la questione e a pretendere comportamenti più assertivi da parte della comunità internazionale. Tuttavia, proprio laddove l’impegno americano appare più risoluto, i risultati non sono particolarmente brillanti. È pur vero che le sanzioni cui Teheran è sottoposta stanno danneggiando significativamente l’economia persiana, ma è altrettanto incontrovertibile che, al di là di un pur rilevante rallentamento delle sospette attività nucleari militari iraniane, il programma non si può definire pregiudicato, mentre anche l’efficacia di un pericolosissimo attacco militare si fa sempre più dubbia.
Nel caso della Nord Corea, come abbiamo avuto modo di rilevare altre volte, la strategia seguita è opposta a quella della dissimulazione iraniana. Il regime comunista asiatico ha sempre proclamato le sue intenzioni apertamente, al punto da indurre diversi osservatori a chiedersi, in un primo momento, se non si trattasse di un bluff. La comunità internazionale, anche qui in maniera speculare rispetto a quanto avviene con l’Iran, si è sempre proclamata complessivamente ostile alle bellicose intenzioni della Corea del Nord, ma allo stesso tempo si è mostrata molto cauta nel mettere in atto effettive misure in grado di piegare l’ostinazione di Pyongyang.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, infatti, dei moniti e persino delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nei confronti della Corea la nota dominante è stata quella della prudenza e della gradualità. Dettate da due ragioni. La prima, ovvia, è che proprio lo status di potenza nucleare della Corea costringe a estreme cautela: detto altrimenti, il possesso dell’arma atomica fa differenza in termini di conservazione del regime. La seconda è che nella regione gli interessi della Cina da un lato e degli Stati Uniti dall’altro (anche attraverso quelli degli alleati sudcoreani e giapponesi di questi ultimi) sono in aperto contrasto.
Nemmeno Pechino auspica il riconoscimento 'legale' dello status nucleare del suo inquieto e poco docile Stato-cliente, ma non ha nessuna intenzione di 'regalare' a Washington un successo diplomatico e men che meno un vantaggio strategico. I cinesi sembrano impostare l’equazione in una sorta di gioco a somma zero, uno dei tanti visti all’opera tra sovietici e americani ai tempi della Guerra Fredda, e sono spinti sempre più a farlo dal peggioramento delle relazione con il Giappone e dalla sensazione che potrebbe essere sempre più costoso (in termini politici) ricondurre la Nord Corea a più miti consigli. Oltretutto, sia la Corea del Nord sia il Giappone sembrano orientati a perseguire una politica di sicurezza meno 'introversa' e maggiormente proiettata verso l’esterno rispetto al passato, sia pur con differenze in termini di strumenti prescelti.
Per sbloccare la situazione si aspettano che Washington conceda loro qualcosa, qualcosa di talmente rilevante da poter giustificare il sacrificio della carta nucleare dei nordcoreani. Cioè un passo verso il varo di un condominio strategico sino­americano che implicherebbe di fatto la rinuncia del Giappone a ogni tipo di ambizione di protagonismo politico nella regione. Questa è la posta in gioco più ampia che si cela a malapena dietro la questione nucleare nordcoreana. Si tratta di una partita che ha ben poche probabilità di essere risolta a breve, evidentemente, considerando che né l’America né la Cina si direbbero in grado di poter sacrificare o condizionare in maniera decisiva le ambizioni e le mosse dei propri alleati regionali.
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