«Lo Spirito Santo invero è il protagonista di tutta la missione ecclesiale e la sua opera rifulge nella missione ad Gentes». Sono queste parole, ricavate dall’enciclica Redemptoris Missio (21) e tutt’altro che astratte o evanescenti, quelle forse più indicate per cogliere appieno il senso e il significato della visita pastorale che Benedetto XVI sta compiendo in questi giorni in terra angolana. Come già avvenuto in Camerun, Papa Ratzinger ha avvertito l’esigenza anche ieri, nel corso della sua omelia, durante la Messa celebrata con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i movimenti ecclesiali e i catechisti nella chiesa di san Paolo a Luanda, di ribadire l’urgenza dell’impegno personale e comunitario nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo. Prendendo lo spunto dall’Anno Paolino, che com’è noto cade nel bimillenario della nascita dell’apostolo dei Gentili, il Papa ha auspicato una maggiore conoscenza della figura del Cristo Redentore, «venuto nel mondo per salvare i peccatori». Infatti solo seguendo le sue orme è possibile entrare nella «luce» vera del mondo, acquistando quell’autorevolezza spirituale indispensabile per essere araldi del Vangelo. Sta di fatto che se oggi la Chiesa cattolica è radicata nel continente africano, di cui la realtà angolana è davvero un’espressione emblematica, è proprio perché la grazia di Dio, attraverso un’abnegazione disseminata lungo i secoli da tanti apostoli, ha consentito ai popoli del continente «di entrare in questa processione dei tempi per farci avanzare verso il futuro». Un movimento della Parola, Verbo forte di Dio, capace di rigenerare l’esistenza umana. Si tratta, secondo il Pontefice, di un processo di «cristificazione» per opera e grazia dello Spirito di Dio lungo i sentieri della storia, aprendola così all’universalità della salvezza. Interessante a questo proposito, il riferimento fatto dal Papa alle vicende che caratterizzarono gli inizi dell’evangelizzazione in Angola: «indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre, allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo Regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla determinazione del Re Dom Alfonso I Mbemba-a-Nzinga» che visse fino al 1543. Un regno che tra alterne vicende rimase cattolico tra il XVI e il XVIII secolo, riuscendo peraltro a mettere insieme nel nome del Vangelo «due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – che trovarono proprio nella religione cristiana una piattaforma d’intesa». Il battesimo, ha ricordato Benedetto XVI, «fa sì che tutti i credenti siano uno in Cristo». Si delinea pertanto ancora una volta nel corso di questo primo viaggio africano di papa Ratzinger lo specifico del ministero petrino, quello cioè di confermare nella fede i fratelli a tutte le latitudini, promuovendo lo spirito della cattolicità intesa proprio come «globalizzazione perspicace» di Dio. Viene così affermata quell’unità dei popoli che, specialmente in Africa, rappresenta l’unico antidoto contro la dissoluzione sociale e ogni forma di divisione. In questo continente vi sono 900 etnie, con tradizioni e culture ancestrali che, sia nel corso dell’epoca coloniale, come anche in tempi recenti, hanno sperimentato numerose vicissitudini, in alcuni casi manifestatesi addirittura in aperta conflittualità. Ecco perché occorre vivere la missione: «per fare tutti insieme la sua volontà» ha detto Benedetto XVI, «andando in tutto il mondo insieme a predicare il Vangelo ad ogni creatura» (cfr Mc, 16,15). Solo così sarà possibile realizzare il sogno di Dio, un sogno di pace, giustizia e riconciliazione che le chiese africane non vogliono disattendere.