domenica 22 marzo 2009
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«Lo Spirito Santo invero è il pro­tagonista di tutta la missione ecclesiale e la sua opera rifulge nella missione ad Gentes». Sono queste pa­role, ricavate dall’enciclica Redemp­toris Missio (21) e tutt’altro che astratte o evanescenti, quelle forse più indi­cate per cogliere appieno il senso e il significato della visita pastorale che Benedetto XVI sta compiendo in que­sti giorni in terra angolana. Come già avvenuto in Camerun, Papa Ratzin­ger ha avvertito l’esigenza anche ieri, nel corso della sua omelia, durante la Messa celebrata con i vescovi, i sa­cerdoti, i religiosi, i movimenti eccle­siali e i catechisti nella chiesa di san Paolo a Luanda, di ribadire l’urgenza dell’impegno personale e comunita­rio nell’annuncio e nella testimo­nianza del Vangelo. Prendendo lo spunto dall’Anno Pao­lino, che com’è noto cade nel bimil­lenario della nascita dell’apostolo dei Gentili, il Papa ha auspicato una mag­giore conoscenza della figura del Cri­sto Redentore, «venuto nel mondo per salvare i peccatori». Infatti solo se­guendo le sue orme è possibile entra­re nella «luce» vera del mondo, ac­quistando quell’autorevolezza spiri­tuale indispensabile per essere araldi del Vangelo. Sta di fatto che se oggi la Chiesa cattolica è radicata nel conti­nente africano, di cui la realtà ango­lana è davvero un’espressione em­blematica, è proprio perché la grazia di Dio, attraverso un’abnegazione dis­seminata lungo i secoli da tanti apo­stoli, ha consentito ai popoli del con­tinente «di entrare in questa proces­sione dei tempi per farci avanzare ver­so il futuro». Un movimento della Pa­rola, Verbo forte di Dio, capace di ri­generare l’esistenza umana. Si tratta, secondo il Pontefice, di un processo di «cristificazione» per opera e grazia dello Spirito di Dio lungo i sentieri del­la storia, aprendola così all’universa­lità della salvezza. Interessante a questo proposito, il ri­ferimento fatto dal Papa alle vicende che caratterizzarono gli inizi dell’e­vangelizzazione in Angola: «indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste ter­re, allora visitate dai portoghesi, ven­ne costituito il primo Regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla determinazione del Re Dom Alfonso I Mbemba-a-Nzinga» che visse fino al 1543. Un regno che tra alterne vicen­de rimase cattolico tra il XVI e il XVIII secolo, riuscendo peraltro a mettere insieme nel nome del Vangelo «due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – che trovarono pro­prio nella religione cristiana una piat­taforma d’intesa». Il battesimo, ha ri­cordato Benedetto XVI, «fa sì che tut­ti i credenti siano uno in Cristo». Si delinea pertanto ancora una volta nel corso di questo primo viaggio africa­no di papa Ratzinger lo specifico del ministero petrino, quello cioè di con­fermare nella fede i fratelli a tutte le la­titudini, promuovendo lo spirito del­la cattolicità intesa proprio come «glo­balizzazione perspicace» di Dio. Viene così affermata quell’unità dei popoli che, specialmente in Africa, rappresenta l’unico antidoto contro la dissoluzione sociale e ogni forma di divisione. In questo continente vi sono 900 etnie, con tradizioni e cul­ture ancestrali che, sia nel corso del­l’epoca coloniale, come anche in tem­pi recenti, hanno sperimentato nu­merose vicissitudini, in alcuni casi manifestatesi addirittura in aperta conflittualità. Ecco perché occorre vi­vere la missione: «per fare tutti insie­me la sua volontà» ha detto Benedet­to XVI, «andando in tutto il mondo in­sieme a predicare il Vangelo ad ogni creatura» (cfr Mc, 16,15). Solo così sarà possibile realizzare il sogno di Dio, un sogno di pace, giustizia e riconcilia­zione che le chiese africane non vo­gliono disattendere.
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