Una certa opinione vuole che solo governi centristi o addirittura di destra siano in grado di varare riforme di sinistra e, al contrario, solo governi di sinistra siano in grado di far accettare provvedimenti di destra. Riflettendo sulla storia italiana ci si può sbizzarrire a trovare conferme o smentite a questa regola: dalla riforma agraria del 1950 al "piano casa" di Amintore Fanfani; dal bombardamento di Belgrado al tempo del governo D’Alema alla riforma del lavoro di Tiziano Treu con il primo governo Prodi.
Ovviamente, qualcuno potrà sostenere che in realtà Fanfani era molto più a sinistra di D’Alema e che la riforma Treu è l’espressione di una concezione moderna della sinistra. Oppure, più semplicemente, che la realtà di oggi e i parametri con cui valutarla appartengono ad un altro evo rispetto agli anni 50. E il gioco potrà andare avanti all’infinito. Il decreto legislativo sul "caporalato" del governo Monti – che attua la direttiva europea n. 52 del 2009 – sembra fatto apposta per rinfocolare queste discussioni.
Perché, quale che sia il giudizio che si dà sul governo, è indubbio che in questa materia il tavolo interministeriale voluto dal ministro Riccardi ha compiuto un passo che nessun precedente governo di centrosinistra aveva osato compiere (tra il 2006 e il 2008 il ministro Ferrero lo aveva tentato ma senza riuscirci).
Cosa prevede il decreto? Che d’ora in poi qualunque lavoratore straniero assunto senza il permesso di soggiorno e sottoposto a 'particolare sfruttamento', potrà ottenere il permesso (valido sei mesi ma rinnovabile) semplicemente denunciando il datore di lavoro (per il quale le pene, già previste dall’articolo 22 del T.U. sull’immigrazione, sono aumentate nel caso in cui i lavoratori 'in nero' siano più di tre o minorenni o "particolarmente sfruttati"). Nella fase transitoria, fino al 15 ottobre, il datore di lavoro che da almeno tre mesi ha assunto uno straniero entrato in Italia senza permesso di soggiorno prima del 31 dicembre 2011, potrà autodenunciarsi. E, pagando i contributi arretrati e un "contributo forfettario" di mille euro, otterrà la regolarizzazione del proprio dipendente ed eviterà, per se stesso, conseguenze penali.In altre parole: è un piccolo condono che giustamente potrà sanare un grande numero di situazioni di fatto createsi non sempre per la cattiva volontà del datore di lavoro ma spesso per la farraginosità della nostra normativa (e della sua applicazione) in tema di concessione del permesso di soggiorno. È una situazione che molte famiglie conoscono per esperienza diretta: che costringe molti stranieri, che pure han trovato lavoro, alla 'irregolarità'; e poi li punisce con il reato di 'clandestinità'. Superata la fase transitoria, l’autodenuncia del datore di lavoro non sarà più possibile. E dunque l’imprenditore che sfrutti lo straniero irregolare sarà esposto al rischio di una sua denuncia (che, se presentata, frutterà allo straniero il permesso di soggiorno).
È una riforma dalle conseguenze pratiche enormi.
Che non solo aiuterà gli stranieri sfruttati, le vittime del 'caporalato' che oggi lavorano magari per 200 euro al mese. Ma aiuterà anche i lavoratori italiani.
Perché gli interessi del lavoratore straniero "in nero" e del datore di lavoro saranno in conflitto.
L’imprenditore che da domani assumerà, in condizioni di sfruttamento, lo straniero irregolare, avrà sempre su di sé la spada di Damocle di una denuncia penale: per lui molto pericolosa (visto l’aumento delle sanzioni) e molto vantaggiosa per lo straniero (che verrà premiato col permesso di soggiorno – che, per alcuni mesi, gli consentirà di cercare un lavoro – e dunque non potrà più essere ricattato). E così i lavoratori italiani non dovranno più temere la concorrenza di lavoratori super-sfruttati e ricattati. Italiani e stranieri non saranno più come i polli di Renzo: i loro interessi tornano a essere gli stessi. Non vi sono dubbi: finalmente una riforma in favore dei deboli.