Le ragioni e i frutti del dialogo dell'intesa tra Cina e Vaticano
mercoledì 23 ottobre 2024

Il rinnovo dell’Accordo tra Santa Sede e Cina per quattro anni è una notizia molto buona. Chi conosce lo stile cinese sa che Pechino procede sempre un passo alla volta, nessuno dei quali è scontato. Prima, nel 2018, la firma dell’Accordo sino-vaticano ad experimentum e solo per due anni, poi un primo rinnovo nel 2020, poi un secondo nel 2022 e ora il prolungamento per quattro anni. Dunque, non solo si continua ma si accelera: in sei anni, dalla cauta apertura iniziale si è passati alla volontà di consolidare e intensificare i rapporti con il Vaticano. Anche i comunicati ufficiali mostrano la soddisfazione cinese. Quello della Santa Sede parla di «opportune consultazioni e valutazioni», di «consensi raggiunti per una proficua applicazione dell’Accordo» e di «dialogo rispettoso e costruttivo».

Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, invece, ha usato toni più caldi, affermando che le parti hanno «tessuto le lodi» dei «risultati ottenuti» e parlando di «consultazione amichevole». Entrambe le parti dichiarano la volontà di continuare le relazioni bilaterali – la Santa Sede specifica «in vista del bene della Chiesa cattolica nel Paese e di tutto il popolo cinese» – ma i cinesi aggiungono di volerle anche migliorare.

Il rinnovo per quattro anni non è l’unico segno di un clima oggi più che disteso. Nel corso del 2024 ci sono state tre nuove ordinazioni episcopali; è stato riconosciuto dalle autorità il vescovo clandestino di Tianjin; un vescovo è stato trasferito in un’altra diocesi con il consenso delle due parti; due vescovi cinesi partecipano al Sinodo, sono intervenuti in aula e resteranno sino alla fine.

Nel maggio scorso, si è tenuto per la prima volta in Vaticano un convegno cui ha partecipato una rappresentanza ufficiale cinese che includeva anche un vescovo, Shen Bin di Shanghai.

C’era il cardinale Parolin e il Papa ha inviato un videomessaggio: è stato in occasione del centesimo anniversario del Primo Concilio cinese. Infine, last but not least, venerdì prossimo ci sarà l’ordinazione del nuovo vescovo coadiutore di Pechino, Matteo Zhen Xuebin. È una notizia rilevante, perché, in quanto coadiutore, diventerà vescovo della capitale cinese, che è anche una delle diocesi più importanti della Chiesa in Cina. La scelta è caduta su un sacerdote che – oltre a svolgere un’intensa attività pastorale – parla bene inglese, ha studiato negli Stati Uniti e ha moltissimi contatti internazionali: favorirà certamente un più stretto inserimento del cattolicesimo cinese nella Chiesa universale.

Quando fu firmato l’Accordo, sei anni fa, prevalevano i profeti di sventura. Per molti Papa Francesco e la Segreteria di Stato erano ingenui a fidarsi dei cinesi, che sicuramente avrebbero violato l’accordo, tradito i patti, ingannato la S. Sede. Indubbiamente, ci sono stati problemi e difficoltà. La diplomazia vaticana, però, li ha trattati come incidenti di percorso che avrebbero potuto essere superati senza rotture, attraverso la fermezza e il dialogo. I fatti le hanno dato ragione: i trasferimenti unilaterali di vescovi ad altra diocesi, causa di tali incidenti, sono cessati. E il rinnovo dell’Accordo per quattro anni rientra tra i miglioramenti richiesti da Roma. Di fronte alla smentita dei fatti, però le voci destruens non hanno fatto autocritica, come sarebbe stato logico attendersi.

Continuano a soffiare contro papa Francesco e i suoi collaboratori, rovesciando l’argomentazione: il problema, adesso, sono diventati proprio la tenuta dell’accordo e i suoi risultati, perché in questo modo la S. Sede sviluppa rapporti con un regime che invece deve essere soltanto combattuto. Ma va chiarito che nessuno in Vaticano considera la Cina un “Paese sicuro” cui consegnare cattolici inermi. È evidente, infatti, che questi vivono già sotto la sovranità cinese e che l’Accordo ha migliorato la loro condizione, anche se c’è ancora molto da fare.

Tanto astio verso la misurata politica vaticana nei confronti della Cina non è casuale. Si esprime anche così un disegno politico internazionale, che dagli Stati Uniti al Giappone, vuole imporre alla S. Sede di interrompere ogni dialogo. Non a caso, americani e giapponesi hanno ripetutamente ammonito la S. Sede a non stabilire relazioni con Pechino, mantenendole invece con Taiwan. È però singolare che tali moniti vengono da Paesi che hanno rotto da tempo con Taiwan per aprire un’ambasciata a Pechino: la contraddizione mostra la strumentalità di queste pressioni. Ma proprio mentre si svolge in Russia l’incontro dei Brics, appare sempre più evidente che se si vuole la pace nel mondo conviene valorizzare i canali di dialogo e non isolare la Cina spingendola nelle braccia di Putin.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: